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Bombe, droga e agguati ai rivali: il ritorno del boss Rosario ‘o minorenne nel regno del padrino

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Bombe, droga, estorsioni, e agguati per punire gli infedeli o i rivali: per Rosario Giugliano, ‘o minorenne, il killer prediletto dell’ex boss Pasquale Galasso, figlioccio di Angelo Visciano, ‘o craparo il tempo in carcere è trascorso invano.

Non sono serviti 227 anni di carcere comminati dai giudici della Campania: è bastata una dissociazione e la propensione a delinquere.

Stamane nel corso delle perquisizioni i carabinieri hanno ritrovato 62 bombe. Materiale esplosivo peraltro particolarmente pericoloso destinato a episodi di intimidazione: agli imprenditori.

Oggi è l’epilogo, si spera, di una storia criminale quella di un boss che dopo sei anni di indagini è tornato in cella, insieme a 25 suoi affiliati. Insieme ai guardaspalle che hanno coperto i suoi summit, che hanno eseguito i suoi ordini anche quando tornava nel carcere di Milano – Opera per scontare la sua pena da camorrista.

I primi summit di camorra li ebbe a fare proprio a Milano quando nei pochi giorni di permesso premio incontrava familiari e fedelissimi ai quali chiedeva quali erano gli imprenditori da mettere sotto torchio e chi erano i nemici da eliminare per riappropriarsi del suo territorio criminale.

Ed è proprio per riaffermare il suo potere criminale che Rosario Giugliano decise di colpire al cuore il rivale Antonio Giugliano, alias ‘o suvariello, solo omonimo di ‘o minorenne e esponente del potente clan Fabbrocino. Giuseppe, il giovane figlio di ‘o suvariello, doveva morire. La progettazione dell’agguato fu ascoltato in diretta dagli inquirenti che da alcuni mesi avevano intuito che il ritorno di ‘o minorenne era imminente, qualcuno a Poggiomarino, aveva raccontato di strane convocazioni a imprenditori danarosi che avrebbe dovuto pagare il pizzo al nuovo capozona. La progettazione dell’agguato a Giuseppe Giugliano fu ascoltata in diretta dagli investigatori che stavano intercettando i boss della zona di Poggiomarino. Era un momento ‘caldo’ nello scontro tra i Fabbrocino e i Giugliano.

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Le intercettazioni ambientali all’interno della Lancia Ypsilon di Cristian Sorrentino del 6 marzo 2017, quattro giorni prima degli spari contro il bar riconducibile a Giuseppe Giugliano, sono inequivocabili. Si parla di punizioni di ‘sparare fuori al bar’ del rivale. O proprio a lui: Giuseppe Giugliano. “Dopo ci dobbiamo aspettare qualsiasi cosa” si sente dire. “Ci chiudiamo nelle case”, ribatte il suo interlocutore. Dopo l’attentato le reazioni dalla fazione colpita. Giuseppe Giugliano, che regge il cosca, invita i sodali alla calma, ma vuole verificare di persona di chi siano le responsabilità. Chiama degli imprenditori, come ricostruisce il gip, per visionare le immagini delle telecamere di sorveglianza e identificare la Lancia Y della quale parlano tutti e dalla quale hanno fatto fuoco i sicari.

Quell’episodio spartiacque che avrebbe dovuto accendere la faida tra le opposte fazioni invece viene risolto diplomaticamente in una sorta di pax camorristica che permetterà a Rosario Giugliano ‘o minorenne di tornare nel suo piccolo regno di provincia e intessere rapporti con le ‘ndrine, smerciare droga nel centro e nord Italia e tenere sotto scacco imprenditori impauriti che sono rimpiombati in un sol colpo venti anni indietro quando il nome da temere era quello del boss Pasquale Galasso e Rosario ‘o minorenne era il suo spietato e spregiudicato killer.

Rosaria Federico


Articolo pubblicato il giorno 19 Aprile 2021 - 23:03


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