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Coronavirus, a Napoli le pizzerie lanciano la battaglia delle consegne a domicilio

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“Le cose vanno male, io chiudero’ quattro locali tra Napoli e Milano, ma la consegna delle pizze a casa si puo’ fare in sicurezza e permetterebbe a tutto il settore di ricominciare a camminare, seppure come un’auto che va a fil di gas”. Gino Sorbillo e’ tra i pizzaioli piu’ celebri di Napoli e lancia con forza la richiesta del settore di poter riprendere il lavoro, senza ovviamente aprire i tavoli dei ristoranti. Un appello lanciato da Massimo Di Porzio, titolare di “Umberto”, nel quartiere napoletano di Chiaia e presidente della Fipe Confcommercio per Napoli e provincia, e a cui hanno aderito oltre 400 ristoratori, da quelli storici ai giovani imprenditori che avevano rafforzato l’offerta di cibo in una citta’ che era in pieno boom di turismo e di crescita economica. Ora la prospettiva, dice Porzio, e’ che “alla fine del lockdown un terzo dei ristoratori non sara’ in grado di riaprire”. L’appello e’ rivolto al presidente della Regione Vincenzo De Luca che permette in Campania solo la consegna di cibo confezionato: “De Luca – dice Di Porzio – ci disse resistete per 15 giorni. Ma ora e’ passato un mese e mezzo e abbiamo chiesto due volte un appuntamento ma stiamo aspettando. Neanche per il 4 maggio ci sono arrivati segnali. Io mi rendo conto che e’ facile chiudere tutto ma le consegne garantirebbe a qualche piccola azienda di sopravvivere e darebbe un servizio ai consumatori. Ho amici a Milano che mi raccontano del pranzo di Pasqua che gli e’ stato consegnato a domicilio”.

Un appello al dialogo lanciato anche da Confcommercio Campania con il direttore Pasquale Russo: “E’ necessario – spiega – avviare un confronto per individuare un percorso condiviso per riattivare in sicurezza l’attivita’ di consegna a domicilio, che nelle altre Regioni e’ consentito. Possiamo dare respiro a un comparto il cui ritorno alla piena attivita’ avra’ tempi lunghissimi e stiamo parlando di circa 4000 imprese in Campania, oltre 1200 solo a Napoli”. La crisi intanto gia’ avanza, come spiega Sorbillo: “Fare 40 pizze da asporto al giorno – dice – e magari 100 nel week end non risolve i problemi ma e’ un inizio. Tutti siamo in crisi, io non riapriro’ il ristorante sul lungomare e quello delle pizze fritte al Vomero, ma anche due locali a Milano. Ora l’unico in cui serviamo pizze a tavola e’ quello di Tokio. Qui possiamo consegnare sigillando il cartone della pizza con la pellicola, in tutta sicurezza”. Ma in crisi non ci sono solo le pizzerie, come spiega Egidio Cerrone, creatore della catena di burgher “Puok” a Napoli: “Nel resto d’Italia – scrive sui social – il governo da’ gli stessi aiuti ma e’ permesso il delivery. Se solo in Campania non e’ permesso, tutte le aziende di ristorazione napoletane sono estremamente svantaggiate e si ritroveranno alla fine della pandemia con le ossa ancora piu’ rotte: fuori dalla Campania hanno gli stessi aiuti ma non stanno incassando zero come noi. Fateci fare un delivery supercontrollato o continuate si’ con la disparita’, ma anche negli aiuti”.

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