Si è pentito a luglio e le sue dichiarazioni sono state fondamentali per ricostruire lo scenario nel quale è maturato l'agguato costato la vita a Luigi Mignano, 57enne cognato del boss rivale Ciro Rinaldi (era sposato con la sorella del capoclan Maria), avvenuto il 9 aprile del 2019 in via Ravello, a San Giovanni a Teduccio, zona orientale di Napoli.Potrebbe interessarti
Il commando dei killer quindi sapeva che nell'auto c'era anche un bambino di 4 anni, lo avevano visto. Ciononostante continuarono a sparare, anche contro la vettura dove c'era il nipotino di quattro della vittima, il quale, per ripararsi, si era nascosto sotto il sediolino anteriore del lato passeggero. Nel raid rimase ferito a una gamba Pasquale, padre del bambino e figlio della vittima. Da una intercettazione ambientale, inoltre, registrata negli uffici della Questura di Napoli,(inserita nell'ordinanza cautelare emessa lo scorso 6 maggio con la quale vennero arrestati le prime cinque persone ritenute coinvolte nell'agguato a Mignano), gli investigatori colgono anche un altro particolare raccapricciante: il raid scattò con l'intenzione di colpire tutti i loro avversari presenti, e quindi anche il bambino. A Borelli viene contestato, tra le altre cose, di avere fatto sparire l'arma usata per l'agguato, una calibro 9, che, secondo un'altra intercettazione, sarebbe stata tagliata in vari pezzi con una smerigliatrice. A procurare la pistola, tra le altre cose, fu Salomone a cui viene anche contestato di avere partecipato alle fasi decisionali ed esecutive dell'omicidio. Lo scorso 6 maggio vennero fermati, per l'omicidio di Mignano, Umberto Luongo, Gennaro Improta, Salvatore Autiero, Ciro Terracciano (quest'ultimo colui che sparò ai Mignano) e il boss Umberto D'Amico, detto "o' lione", sul cui cellulare gli investigatori avevano scaricato uno spyware. Per tutti venne poi confermata la custodia cautelare in carcere.