Quando si entra a far parte della ristretta élite di coloro capaci di vincere tutti e tre i grandi di giri si scrive il proprio nome nella leggenda. Felice Gimondi, il secondo a riuscire in questa impresa, era semplicemente una icona di un ciclismo che non c’è più, fatto di gambe e di cuore prima che di classe e talento. Non a caso anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha voluto esprimere il cordoglio per la morte del campione bergamasco, ricordandone i tanti successi che hanno dato prestigio all’Italia nello sport e il suo stile di grande valore nel comportamento sportivo e umano. Qualità riconosciute dal Quirinale ma, più in generale, da tutto il mondo, che si ritrova a omaggiare uno dei principali protagonisti sulle due ruote tra gli anni ’60 e ’70, morto per un infarto all’età di 76 anni.’L’Equipe’ ricorda la “classe italiana” che incarnava alla perfezione il corridore di Sedrina, definito dal popolare quotidiano sportivo francese “un esteta in bicicletta”, nonché “uomo di grande cortesia dopo la sua carriera”, segnata dal regno incontrastato di Eddy Merckx, che “probabilmente non ha sofferto come nessuno”. Il vincitore, a sorpresa, del Tour de France del 1965, alla sua prima partecipazione alla Grande Boucle, viene menzionato anche in Spagna, dove nel 1968 vinse la Vuelta, completando la ‘tripla corona’, e nel 1973 il Mondiale, a Barcellona. ‘Marca’ sottolinea come quella tra Gimondi e il ‘Cannibale’ sia stata “una delle rivalità più belle del ciclismo” evidenziando che le vittorie dell’uno non avrebbero avuto lo stesso valore senza l’altro, proprio come accaduto in passato “a Coppi e Bartali e a Poulidor e Anquetil”. Anche il Belgio, paese di grande tradizione ciclistica e patria di Merckx, ha omaggiato la “leggenda italiana”, definito da ‘La Derniere Heure’ un ciclista “completo e intelligente”, che “eccelleva nella dimensione strategica del ciclismo e nei giochi di alleanze”. La ‘Fenice’, come era stato soprannominato all’epoca, è volata via, ma il suo ricordo non svanirà mai.
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