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Caserta, il ‘doppio gioco dei Diana’ svelato dai pentiti: Armando aiutò la mamma del boss a curarsi in Francia

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Caserta. Il ‘doppio gioco’ degli imprenditori Diana, divisi tra legalità e camorra è stato svelato dai collaboratori di giustizia. Emerge dalle carte dell’inchiesta che ieri ha portato all’arresto ai domiciliari di Armando Diana, fratello di Mario, e dei nipoti Antonio e Nicola, per collusione con la camorra.
Sono stati i collaboratori di giustizia, una volta vicini a Zagaria, come Massimiliano Caterino, a parlare dei Diana quali imprenditori collusi, descrivendoli come componenti di un vero e proprio “cerchio magico” formato da operatori economici al servizio del boss e del clan. Caterino è stato il primo tra i collaboratori a parlare del presunto “doppio gioco” dei Diana. Nicola Diana, dopo alcune dichiarazioni del pentito, il 29 febbraio 2016, si presenta spontaneamente ai pm, prima “ostentando – si legge nell’ordinanza di arresto firmata dal Gip Miranda – il loro impegno per le legalità”, quindi ammettendo di “aver pagato negli anni con somme di 30mila euro Michele Zagaria in quanto vittime di richieste estorsive”. Il Gip bacchetta Diana per non aver mai denunciato le estorsioni subite. Caterino riferisce che Armando Diana, fratello di Mario, avrebbe anche aiutato la mamma di Michele Zagaria quando quest’ultima ebbe bisogno di cure mediche in Francia, facendola soggiornare presso una famiglia di amici. Un rapporto talmente stretto che quando il clan Russo, vicino agli Schiavone, mandò i propri uomini a chiedere il pizzo ai Diana, dovette fermarsi. Ma anche i pentito non sono pienamente concordi sul ruolo dei Diana nell’ambito del clan dei Casalesi. L’ex boss oggi pentito Antonio Iovine, dopo aver accusato il padre dei gemelli, Mario, ucciso nel 1986 e ritenuto in una sentenza definitiva vittima innocente del clan, di essere stato fino alla morte uno degli imprenditori “amici del clan”, dice che i figli Antonio e Nicola non erano soci di Zagaria, ma pagavano 30mila euro l’anno “per stare tranquilli”. Un altro pentito, Michele Barone, fratello della moglie di Antonio Diana ed ex fedelissimo del boss, difende i parenti acquisiti. “Antonio e Nicola Diana – racconta – non hanno mai avuto rapporti nè hanno mai versato somme a Michele Zagaria”; Barone riferisce solo di un “regalo” di 20mila di euro, ovvero una tangente, versato dai Diana a Zagaria, con i soldi che però non furono mai consegnati al boss ma trattenuti da Barone, che per questo fu anche picchiato da Zagaria. Il racconto di Barone, cognato di Antonio Diana, non viene però ritenuto attendibile dal Gip.
Venerdì si terranno gli interrogatori di garanzia dei tre arrestati i fratelli gemelli Antonio e Nicola Diana e dello zio Armando, imprenditori di Casapesenna. I tre indagati, noti in questi anni come imprenditori antimafia, dovranno difendersi dalla grave accusa di concorso esterno in associazione camorristica, per aver stretto un patto criminale, già negli anni ’90, prima con il boss Vincenzo Zagaria, poi con Michele Zagaria, con lo scopo di assicurarsi la protezione del clan e crescere così imprenditorialmente. I Diana hanno un’azienda di riciclo della plastica ubicata a Gricignano che, secondo quanto emerso, sarebbe stata acquistata dai Diana al Tribunale Fallimentare di Bologna grazie all’interessamento dei Casalesi. In cambio – ipotizza la Dda – i Diana avrebbero cambiato più volte gli assegni del clan, provenienti da imprenditori sotto estorsione, versando inoltre nelle casse della cosca cospicue somme di denaro.
Intanto la Fondazione Mario Diana, in una nota, esprime fiducia nella magistratura. “La Fondazione Mario Diana, in relazione alla vicenda giudiziaria che ha coinvolto il proprio presidente e vice presidente, conferma piena fiducia nella magistratura e nel corso della giustizia ed esprime solidarietà e vicinanza alle famiglie di Antonio e Nicola Diana”. Si legge nel comunicato. La Fondazione fondata dagli imprenditori Antonio e Nicola Diana, finiti ieri agli arresti domiciliari aiuta anche ragazzi svantaggiati, ed è intitolata al papà dei due imprenditori, Mario, ucciso nel 1986 dai Casalesi e riconosciuto da una sentenza irrevocabile come vittima innocente del clan. “La Fondazione – prosegue la nota – confida nel celere accertamento della verità e conferma il proprio impegno nel sostenere e proseguire le attività e le iniziative programmate nell’ambito della formazione dei giovani e della sostenibilità e tutela ambientale a beneficio della comunità in cui opera. Ringraziamo enti, associazioni e persone semplici che, attraverso i loro messaggi e la loro vicinanza, hanno espresso fiducia e stima nell’operato della Fondazione. Assieme a loro vogliamo continuare ad essere un segno di speranza per il nostro territorio”.

 


Articolo pubblicato il giorno 16 Gennaio 2019 - 21:39

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