Come fece Francesca Mambro, anche Valerio Fioravanti nel corso della sua ultima giornata di testimonianza nel processo a Gilberto Cavallini ha parlato di Giovanni Falcone e del suo coinvolgimento nel delitto Mattarella. “Due o tre giorni dopo la puntata di ‘Samarcanda’ in cui Leoluca Orlando disse che Falcone aveva le prove contro i fascisti ma le teneva nascoste – ha detto l’ex capo dei Nar – il magistrato mi chiamo’ e mi disse: ‘Fioravanti io non credo a questa cosa, ma lei si rende conto che a questo punto se non procedo divento anch’io della P2′”. A quel punto, ha spiegato l’ex Nar, “io ragionai cosi’: so cosa si vuole da me, se avessi un mandante da proteggere confesserei, direi di aver commesso l’omicidio con un amico, magari morto, inventerei un mandante, tutti sarebbero contenti e non avrei nulla di cui vergognarmi. Ma decisi di non farlo”.Poi, ha chiuso Fioravanti, Falcone “mi fece trasferire nella ‘gabbia di vetro’, una cella con una parete di vetro e quattro agenti che ti sorvegliano, e per sei mesi sono stato cosi’, perche’ l’assunto era che dovevo essere protetto”.
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