Il primo cittadino di Pompei, Pietro Amitrano, è tra i d265 sindaci campani che, lunedì scorso, ha firmato il protocollo Minniti per l'arrivo di qualche profugo richiedente asilo da inserire e integrare nella città famosa in tutto il mondo per il suo patrimonio archeologico.Potrebbe interessarti
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Ricorda, inoltre, o chiarisce - per quanti non hanno inteso o non hanno voluto intendere -, che nel protocollo "si dice a chiare lettere che le direzioni del Parco Archeologico di Pompei e della Reggia di Caserta intendono avviare progetti sperimentali" rivolti ai cittadini stranieri richiedenti asilo "che, in base ad un'adesione volontaria e gratuita, potranno svolgere attività di utilità sociale".
E tra i duecentosessantacinque comuni che hanno aderito alla proposta del ministro Minniti e del sindaco della Città Metropolitana Luigi de Magistris "c'era una sola città che più di ogni altra aveva il dovere morale, etico, religioso, e politico di firmare quel documento. E quella città è Pompei. La Città di Bartolo Longo".
"Centocinquanta anni fa - scrive il sindaco - un signore, cui il Papa ha riconosciuto il titolo di Beato e sul quale è in corso un processo di canonizzazione che lo porterà a diventare santo, portò a Pompei centinaia di ragazzi appartenenti a famiglie disagiate. Con genitori in carcere per reati gravissimi. Siamo stati la prima città ad ospitare i figli dei carcerati. A dargli un'istruzione, e poi un lavoro. Senza stare troppo a pensare che magari quell'istruzione e quel lavoro avrebbe tolto possibilità ai nostri figli. Da quel momento, dopo la grande opera di Bartolo Longo, Pompei è stata e sarà sempre la città dell'accoglienza per eccellenza".
La solidarietà non ha colori politici, né religioni né status sociali, commenta Amitrano. "Possiamo essere qualsiasi cosa. Uomini di sinistra o di destra. Laici o cattolici, ma in questa città c'è un presupposto inderogabile, imprescindibile, indiscutibile. Noi siamo quello che la storia ha deciso che dovessimo essere: uomini e donne capaci di accogliere chi soffre come fratelli. Alla nostra stessa tavola, senza distinzioni e senza paletti. Ho firmato per questo motivo. E per questo motivo non ho ritenuto nemmeno che questa cosa andasse discussa. Se l'avessimo fatto avremmo tradito prima ancora di cominciare la nostra identità e il nostro orgoglio di essere uomini di fede e di carità, di accoglienza e di tolleranza".
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