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Si vantava di essere stato il primo ad aver introdotto ecstasy in Italia e, tra rotocalchi e cronaca, aveva spiegato come si fosse ravveduto senza mai pentirsi della sua vita precedente, fatta di costose vacanze tra Hollywood, Miami e Ibiza, chiedendo udienza a Papa Francesco per redimersi definitivamente.
Ma il pm dell’antimafia milanese Paolo Storari ha ordinato il fermo d’urgenza dell’appena 49enne Gennaro "Rino" Bonifacio per la quasi fotocopia della sua precedente vita: l’importazione di 118 chili di cocaina dalla Colombia, sequestrati nel porto di Livorno (una vera fissazione come meta) a dispetto dell’ingegnoso occultamento dentro tavolette di legno parquet nel container del cargo «Maersk Nexoe» salpata dal Cile.
È il 13 ottobre 2016 quando, senza che venga divulgato, la Procura di Reggio Calabria e il «Goa» della Guardia di Finanza di Catanzaro, che con gli americani della «Dea» stavano indagando sul fornitore colombiano Fernando Ronal Alfonso Cuesta, rivoltano da cima a fondo il cargo a bordo del quale avevano intuito un carico monitorato da un italiano («Io della vendita mi sono occupato poco…solo dell’import…Ho trovato un cliente che prende tutto…Ti avranno gia avvisato dell’arrivo della bestia…»). La «Dea» passa agli italiani il codice di questo cellulare in contatto con il colombiano, esile filo da cui tentare di identificare il destinatario dei 118 chili di coca.
La perdita del carico spinge Bonifacio a cercare alternative, che la Squadra Mobile di Milano intercetta sulle chat di BlackBerry che i trafficanti pensano sicure. Ecco così in diretta i contatti con colombiani che cercano un acquirente per i residui 200 chili di una partita di due tonnellate per il resto già prenotata dai clan. Ecco l’affare piccolo ma veloce (con l’albanese Orion Kristo pure fermato ieri) di 5 chili di coca dall’Olanda. Ed ecco l’irritazione verso due svizzeri dai quali farsi restituire 200.000 euro: «Devono morire…Mi farò max 10 anni se mi beccano».






