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Due operazioni al cuore, il boss Biagio Cava in rianimazione al Cardarelli

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E’ ricoverato in rianimazione dopo un doppio delicato intervento chirurgico al cuore il boss di Quindici, Biagio Cava. Uno dei più sanguinari  capi camorra della penultima generazione, 63 anni,  protagonista della decennale faida con i Graziano culminata con la famosa “Strage delle donne” del maggio 2002, era detenuto a Sassari.
Era stato  condannato a 30 anni di carcere, a fine settembre è stato trasferito ai domiciliari nel suo comune a Quindici. Pochi giorni soltanto in casa, quindi un ricovero al Cardarelli di Napoli.
Dopo un primo intervento, all’inizio della settimana, i medici hanno dovuto intervenire nuovamente. L’uomo è stato ritenuto dai giudici di sorveglianza in condizioni gravi e il suo legale di fiducia Raffaele Bizzarro ha ottenuto il rinvio dell’esecuzione della pena. Per motivi umanitari il provvedimento è previsto da tempo.
Sarebbe dovuto essere scarcerato nel 2031, dal 2006 era in carcere, al regime del 41 bis. La storia di Biagio Cava è una storia di sangue e morti. Una faida familiare con i Graziano iniziata nel 1972 e culminata in una prima strage consumata il 21 novembre del 199 a Scisciano. Un commando dei Cava (dove forse c’era lo stesso Biagio), aveva massacrato in una officina a colpi di kalashnikov Eugenio Graziano, 30 anni, erede designato del clan (e figlio di Luigi Salvatore e Chiara Manzi), il cugino Vincenzo, di 22 anni e il loro guardaspalle, il 21enne Gaetano Santaniello. Nel 1994, come ricorda l’edizione di Avellino de Il Mattino, era stato arrestato dalla Mobile di Avellino a San Gennariello di Ottaviano.
Nel 2000 fu scarcerato per decorrenza dei termini di custodia cautelare dopo un’assoluzione in appello. Torna a sparire per due anni. Ma il 7 febbraio 2002 viene riconosciuto e fermato dalla polizia francese all’aeroporto di Nizza. Pochi mesi dopo scatta la violenta vendetta dei Graziano che compiono quella che è passata alla storia come la “Strage delle donne”.  Il 26 maggio del 2002: è domenica sera e a Lauro paese al confine tra le province di Napoli e Avellino c’è grande animazione in strada. C’è la campagna elettorale. Un commando di killer spara all’impazzata tra la folla contro le donne del clan Cava. C’è un violento conflitto a fuoco. A terra restano  Clarissa Cava, la figlia 16enne del boss Biagio Cava, e Maria Scibelli. L’altra vittima, Michelina Cava, sorella del capoclan, maestra elementare. Tra i sei feriti ci sono anche l’altra figlia del boss, la 19enne Felicia (costretta per quelle ferite alla sedia a rotelle)e il boss rivale Luigi Salvatore Graziano che sarà arrestato qualche giorno dopo insieme ad una dozzina di affiliati tra uomini e donne tra cui anche un poliziotto genero di Graziano.
Nel frattempo Biagio Cava finisce al 41 Bis, la Dda di Napoli l’accusa di essere l’organizzatore del tentato rapimento di Luigi Salvatore Graziano da parte di un commando di falsi carabinieri nel maggio 2000. Il 21 aprile 2004 viene assolto.
Esce e riprende la sua vita segreta: impossibile notificargli l’obbligo di dimora. Ma il 2006 è l’anno in cui comincia a cedere il suo sistema. A marzo viene scovato prima Antonio Cava, cugino di Biagio e numero due del clan. Passano poche ore e arrivano anche altri sei arresti di affiliati al clan di Biagio Cava. Associazione a delinquere finalizzata all’estorsione è l’accusa che pende anche sul capo. E a ottobre è la volta di Biagio. Il 17 ottobre sono i poliziotti del commissariato di Lauro a pescarlo in un boschetto vicino casa al confine tra Pago e Quindici.


Articolo pubblicato il giorno 14 Ottobre 2017 - 19:33

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