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Strage di Ercolano: “La vita dei nostri figli vale più di 150 euro a settimana”

Conto alla rovescia per la sentenza. Discussione finale sulle posizioni di Punzo e D’Angelo, poi il 10 dicembre le repliche e la decisione del Gup. I familiari delle tre giovani vittime e l’intera comunità chiedono pene esemplari per la fabbrica-bomba di fuochi illegali.
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Si stringe il cerchio sulla “strage di Ercolano”. Nella nuova udienza davanti al Gup di Napoli hanno preso la parola oggi i difensori degli imputati Pasquale Punzo e Vincenzo D’Angelo, indicati dalla Procura come gestori dell’impianto illegale di fuochi d’artificio esploso il 18 novembre dello scorso anno in via Patacca, a Ercolano, e costato la vita a tre giovanissimi lavoratori.

La difesa di Pasquale Punzo ha chiesto la riqualificazione dei fatti da omicidio volontario con dolo eventuale ad omicidio colposo, invocando l’applicazione dell’art. 589 del codice penale. Per Vincenzo D’Angelo, invece, il suo legale ha sostenuto la totale estraneità ai fatti, sollecitando l’assoluzione piena.

L’udienza è stata aggiornata al 10 dicembre, quando sono previste le repliche della Procura e dei difensori delle parti civili e private. Poi, finalmente, il momento più atteso: la sentenza. Sul banco del giudice non c’è soltanto il destino dei tre imputati, ma anche la tenuta dell’impianto accusatorio: omicidio volontario con dolo eventuale e caporalato, con una richiesta di 20 anni di reclusione per Punzo e D’Angelo, alla luce della scelta del rito abbreviato. A processo anche Raffaele Boccia, accusato di aver fornito la polvere da sparo.

La deflagrazione nello stabile adibito a fabbrica e deposito clandestino di fuochi d’artificio trasformò via Patacca in un inferno. Persero la vita Samuel Tafciu, 18 anni, di origine albanese, padre di una bambina di cinque mesi, e le sorelle gemelle Aurora e Sara Esposito, 26 anni, residenti a Marigliano, nell’hinterland napoletano. Anche Aurora era madre di una bimba di quattro anni. Tre giovani vite spezzate in un luogo di lavoro che, secondo l’accusa, era di fatto un ordigno a orologeria.

All’esterno del tribunale, mentre in aula si discuteva di qualificazioni giuridiche e responsabilità, si è tenuto un sit-in carico di dolore e rabbia composta.

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A manifestare c’erano i genitori di Aurora e Sara Esposito, i parenti di Samuel Tafciu e, insieme a loro, i familiari di Patrizio Spasiano, il 19enne morto sul lavoro lo scorso 10 gennaio in seguito a una fuga di ammoniaca durante un intervento di manutenzione straordinaria alla Frigo Caserta di Gricignano d’Aversa.

“Siamo qui, uniti al dolore e alla rabbia composta dei genitori di Aurora e Sara Esposito e dei parenti di Samuel Tafciu, per ribadire che la loro richiesta di giustizia non è solo la loro, ma è la richiesta di un’intera comunità che non accetta che i suoi figli vengano sacrificati sull’altare del profitto illecito”, ha dichiarato il deputato di Avs Francesco Emilio Borrelli, presente al presidio davanti al palazzo di giustizia.

Borrelli ha raccolto e rilanciato l’amarezza delle famiglie per il rischio di sconti di pena: “Le parole dei familiari, che denunciano il rischio di pene troppo basse che renderebbero il loro ergastolo del dolore ancora più insopportabile, sono una verità tagliente. Sara, Aurora e Samuel lavoravano in nero, per compensi miseri, in quello che era di fatto un ordigno a orologeria. Questa non è fatalità; è un crimine premeditato dalla sete di denaro”.

Al centro della protesta, anche la percezione di una sproporzione tra la gravità dei fatti e il quadro sanzionatorio. “La richiesta di 20 anni, che con il rito abbreviato rischia di ridursi drasticamente, è percepita come insufficiente. Un crimine che ha prodotto una distruzione così totale e che ha sfruttato la vita umana attraverso il caporalato meriterebbe una condanna al fine pena mai”, ha aggiunto il deputato, invocando un segnale forte da parte della magistratura. “Non si può anteporre il facile guadagno alla vita umana. La giustizia deve dimostrare che la vita dei nostri ragazzi vale più di 150 euro a settimana”.

È un processo che potrebbe scrivere una pagina importante in tema di sicurezza sul lavoro, sfruttamento e responsabilità penale nei contesti produttivi illegali. Le parti civili chiedono che il tribunale riconosca fino in fondo la natura del disastro di Ercolano: non una tragica fatalità, ma il risultato di scelte consapevoli, di un sistema che, per risparmiare e guadagnare, ha messo a repentaglio la vita di chi aveva bisogno di lavorare.

Ora la parola passa alle repliche di Procura e difese. Poi la decisione del giudice dirà se l’impianto dell’omicidio volontario con dolo eventuale reggerà, se saranno confermate le richieste di condanna a 20 anni e quale messaggio arriverà alle famiglie delle vittime e a un territorio che chiede giustizia e verità per la strage di Ercolano.

RIPRODUZIONE RISERVATA Articolo pubblicato il 1 Dicembre 2025 - 20:16 - Gustavo Gentile

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