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Napoli, caduta dalla barella, poi l'infezione: una morte annunciata. La CTU: 'Omissioni a catena'

I periti del tribunale confermano le gravi responsabilità della struttura sui punti cruciali: valutazione, prevenzione, diagnosi e scelta chirurgica. Gli avvocati: "Rifiutata ogni mediazione, ora si va in tribunale a marzo". La storia della paziente lasciata una settimana senza reparto, operata in ritardo e con sepsi già in atto.
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Napoli – Una valutazione inadeguata al Pronto Soccorso, una caduta evitabile dalla barella, un ricovero "nomade" per la mancanza di posti letto in ortopedia, un'infezione nosocomiale, un intervento chirurgico eseguito in ritardo e in condizioni già critiche. È la drammatica sequenza di eventi – ricostruita da una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) disposta dal giudice – che ha portato al decesso di una paziente ricoverata in una struttura sanitaria napoletana. Un ennesimo, grave caso di malasanità che si appresta ora a diventare una battaglia legale in tribunale.

A denunciare tutto è lo Studio Associato Maior di Napoli, che assiste i familiari della vittima. Gli avvocati Michele Francesco Sorrentino, Pierlorenzo Catalano e Filippo Castaldo hanno depositato il ricorso di merito dopo che la struttura ha respinto ogni tentativo di accordo stragiudiziale. L'udienza è fissata per marzo.

La paziente, una donna giunta in PS in "evidente stato confusionale", dopo appena tre ore dal ricovero è caduta dalla barella, riportando la frattura del femore. L'incidente, secondo gli avvocati, era il primo segnale di una gestione critica. La degenza si è poi trasformata in un calvario: impossibilitata a essere ricoverata in ortopedia per carenza di posti, la donna è rimasta per circa una settimana in un altro reparto, dove ha contratto un'infezione nosocomiale. L'intervento chirurgico per la frattura è stato eseguito solo sette giorni dopo il trauma, nonostante l'infezione fosse ormai in atto. Le complicanze post-operatorie hanno avuto, purtroppo, esito fatale.

Il rapporto dei consulenti tecnici del tribunale – spiegano gli avvocati – è stato spietato e ha confermato integralmente le tesi della difesa.

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Le responsabilità della struttura e dei medici coinvolti sono state individuate in una serie di omissioni a catena:

Valutazione inadeguata dello stato confusionale all'ingresso, primo campanello d'allarme ignorato.
Mancata prevenzione del rischio caduta, nonostante la condizione evidente della paziente.
Gestione carente del rischio infettivo durante il ricovero prolungato fuori dal reporto adeguato.
Ritardo diagnostico nell'individuare l'infezione contratta in ospedale.
Scelta chirurgica discutibile, ovvero l'operazione eseguita in costanza di infezione e in condizioni cliniche già gravi.
"Alla luce di conclusioni così nette, sussistevano tutti i presupposti per una definizione conciliativa della controversia", sottolineano gli legali. "La struttura, nonostante ciò, ha rifiutato ogni possibilità di transazione. Siamo quindi costretti a chiedere giustizia in sede giudiziaria".

Per gli avvocati dello Studio Maior, il caso va oltre il singolo risarcimento. "Riuscire a sostenere e dimostrare la nostra tesi è entusiasmante, ripaga di tutto l'impegno", affermano Sorrentino, Catalano e Castaldo. "La giurisprudenza ha un valore altissimo, è il presupposto delle libertà della persona. Per noi tutelare i clienti è un lavoro svolto con profonda dedizione e senso di missione".

Ora la palla passa al tribunale. A marzo, con il conforto della perizia che ha già stabilito le responsabilità mediche, si aprirà il processo per cercare una verità giudiziaria su una morte che, secondo gli atti, poteva e doveva essere evitata.

[riproduzione_riservata] Articolo pubblicato il 5 Dicembre 2025 - 15:20 - A. Carlino [fonte_combinata]

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