

Brigitte Bardot
Brigitte Bardot, l’addio (che divide): dal mito sexy del cinema alla guerra totale in difesa degli animali.
Il mito: Parigi, la danza e l’esplosione sul grande schermo Brigitte Bardot nasce a Parigi il 28 settembre 1934. Prima del cinema c’è la disciplina della danza: un’educazione rigida, un’adolescenza segnata da inquietudini, e l’ossessione per la perfezione del corpo come strumento di riscatto.
È la fotografia a spalancarle la prima porta: servizi di moda, copertine, l’obiettivo che la rende riconoscibile ancora prima dei titoli di coda.
L’incontro con il regista Marc Allégret la proietta nell’industria; quello con Roger Vadim — allora assistente — le cambia la vita privata e la traiettoria pubblica. Il matrimonio giovane, l’ingresso nei set, una gavetta rapida: già nei primi anni ’50 Bardot colleziona ruoli e notorietà, costruendo un personaggio che rompe il bon ton dell’epoca e sposta l’asticella della rappresentazione femminile.
Negli anni in cui Hollywood preferisce immagini “acqua e sapone”, Bardot impone un erotismo europeo, diretto e insieme infantile, diventando simbolo internazionale. Topless, scandali, imitazioni: la sua figura si incolla ai manifesti e si trasforma in modello culturale, oltre che cinematografico.
Bardot attraversa il cinema d’autore e quello popolare con una filmografia ampia e discontinua, ma sempre sorvegliata dai riflettori. Tra i titoli più emblematici della sua stagione d’oro spiccano Il disprezzo di Jean‑Luc Godard, Vita privata di Louis Malle e La verità di Henri‑Georges Clouzot: film diversi, ma un filo comune — Bardot come corpo pubblico e identità in fuga.
La cronaca sentimentale, spesso sovrapposta al lavoro, diventa un capitolo permanente della sua biografia: Vadim, Jean‑Louis Trintignant, Gilbert Bécaud, Raf Vallone, Sacha Distel. Nel1959 sposa Jacques Charrier e nel 1960 nasce l’unico figlio, Nicolas‑Jacques. La maternità non addomestica il personaggio: la pressione del giudizio sociale, la macchina della celebrità e un bisogno radicale di autonomia alimentano una fragilità che Bardot non nasconde, arrivando anche a gesti estremi.
Seguono altri amori celebri e relazioni che fanno notizia quanto i film: Günter Sachs (che sposa nel 1966), Serge Gainsbourg — con la storia della canzone Je t’aime… moi non plus — fino al matrimonio nel
1992 con Bernard d’Ormale. Intanto, però, qualcosa cambia: la star comincia a guardare oltre lo schermo.
I primi segnali dell’impegno animalista emergono già nei primi anni ’60. Non è una svolta di facciata: Bardot rompe con l’industria dello spettacolo e, progressivamente, sposta il centro della sua identità pubblica sulla causa animalista. Diventa vegetariana, denuncia pratiche di allevamento e macellazione, attacca caccia e pellicce con toni che non cercano mediazioni.
Il passaggio decisivo arriva con la creazione della Fondation Brigitte Bardot, pensata come struttura permanente di intervento: rifugi, sostegno a associazioni, campagne mediatiche, pressioni sulle istituzioni. Nella narrazione pubblica che l’ha accompagnata, c’è anche il gesto simbolico della vendita all’asta di beni personali (gioielli e oggetti di valore) per finanziare l’attività: un modo per convertire il capitale della celebrità in risorse e azione.
Nel corso dei decenni la Fondazione e la Bardot attivista hanno concentrato l’azione su alcuni bersagli ricorrenti, spesso con comunicazione dura e volutamente polarizzante:
Contrasto al commercio di pellicce e alla moda “cruelty”, con appelli pubblici e pressioni sui brand
Campagne contro la caccia e contro pratiche ritenute di particolare crudeltà (in Francia e non solo)
Denuncia delle condizioni degli allevamenti intensivi e delle filiere della macellazione
Interventi per il recupero e la protezione di animali domestici abbandonati, con sostegno a rifugi e strutture di cura
Mobilitazioni contro spettacoli e intrattenimenti basati sull’uso di animali, dal circo a forme di esibizione ritenute lesive del benessere animale
Il tratto comune è l’uso della notorietà come megafono: Bardot non “sponsorizza” la causa, la incarna. E soprattutto non la addolcisce.
Le polemiche: quando l’animalismo diventa terreno politico
La seconda vita di Bardot non è stata lineare. Alcune sue posizioni — in particolare le denunce contro la macellazione rituale (halal) e più in generale l’allarme sull’“islamizzazione” della Francia — hanno generato accuse di razzismo e alimentato un conflitto che ha travalicato il tema del benessere animale, spostandolo sul terreno identitario e politico.
Anche sul piano personale e letterario non sono mancate fratture. La pubblicazione di memorie e testi autobiografici ha prodotto reazioni familiari e controversie, così come alcune dichiarazioni su temi sociali l’hanno esposta ad accuse di omofobia, respinte dall’interessata. In parallelo, le sue scelte politiche dichiarate a destra hanno consolidato l’immagine di una figura divisiva: per alcuni coerente e inflessibile, per altri irriducibile e provocatoria.
Se il cinema l’ha trasformata in una delle immagini definitive del XX secolo, l’attivismo animalista l’ha resa un caso unico: una star che, invece di prolungare il mito, lo ha “speso” in una battaglia quotidiana, spesso aspra, spesso controversa. Bardot resta così: icona popolare e, insieme, militante radicale. Amata e contestata, ma difficilmente ignorabile.