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Il Metaverso è davvero fallito? O non è mai stato provato fino in fondo

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Prima di giudicare il Metaverso, servirebbe  davvero “Entrarci”

Non basta guardare da fuori, leggere titoli o provare per cinque minuti. Il Metaverso va abitato e provato a fondo. Altrimenti il giudizio arriva prima dell’esperienza.


Negli ultimi giorni si torna a leggere, ancora una volta, il funerale del Metaverso. Articoli che ne decretano la fine, che parlano di sogno infranto, di fallimento annunciato, di visione sbagliata. Ma viene spontaneo porsi una domanda : prima di scrivere che il Metaverso è morto, è stato davvero vissuto? È stato usato sul serio? È stato indossato un visore ogni giorno, per settimane, non per mezz’ora di prova?

Perché la sensazione, leggendo certi pezzi, è chiara: chi scrive ha sbirciato il Metaverso, non lo ha abitato.

Provare un visore non è usarlo

Il Meta Quest, come ogni tecnologia di rottura, non è immediato. Non è un telefono che accendi e padroneggi in cinque minuti. È un modo diverso di stare nel digitale, con tempi di adattamento, limiti fisici e nuove logiche cognitive.

Metaverso: in caricamento. Esperienza mai avvenuta. Opinione pubblicata lo stesso. È davvero un fallimento o una connessione mancata?

Chi parla di nausea come difetto strutturale tradisce subito la propria inesperienza: la nausea passa dopo pochi giorni di utilizzo, è un fenomeno noto, fisiologico, temporaneo. Chi usa davvero un visore lo sa. Il vero problema oggi non è quello, ma il peso, la pressione sulla nuca e sulle orbite, la scomodità oltre una o due ore continuative. Critica legittima, concreta, reale. Non slogan.

Eppure, al netto di questi limiti, il livello di maturità raggiunto è tutt’altro che trascurabile.

App, giochi e mondi: non è il deserto che raccontano

Le applicazioni ci sono. I giochi anche, e molti sono di ottima fattura quando progettati nativamente per la realtà virtuale, non come semplice trasposizione di esperienze pensate per PC o console tradizionali.

Internet non è nato ordinato.
I social non sono nati maturi.
Il Metaverso non fa eccezione.

I mondi virtuali — quelli ben costruiti, con una logica, una direzione, un obiettivo — sono interessanti, coinvolgenti, spesso sorprendenti. Esiste certo una marea di mondi amatoriali, improvvisati, imbarazzanti. Ma questo non è un fallimento del Metaverso, è semplicemente il riflesso della libertà creativa degli utenti, la stessa che ha riempito il web di siti orrendi negli anni ’90. Non era colpa di Internet, e non è colpa di Meta.

Il vero nodo: il lavoro, non l’intrattenimento

Il punto critico, quello sì irrisolto, è un altro: il lavoro digitale. Oggi il Metaverso fatica a integrarsi davvero con i flussi produttivi di un PC o di un portatile. Il desktop remoto è suggestivo, fa effetto “wow”, ma appena provi a montare un video, scrivere una mail complessa, lavorare su Canva o su una timeline, ti rendi conto che non è ancora praticabile, se non affidandosi quasi esclusivamente ai comandi vocali.

Questo sì, è un limite reale.
Ma limite non significa morte. Significa strada ancora aperta.

Qui la critica è corretta. Ma non equivale a dire che tutto è fallito: equivale a dire che la strada non è finita, ed è una differenza enorme.

Il visore Meta Quest 3

Zuckerberg come bersaglio facile

Puntare il dito contro Mark Zuckerberg oggi è fin troppo semplice. È diventato lo sport preferito. Ma c’è una verità che andrebbe riconosciuta: ha avuto il coraggio di crederci, di investire quando altri osservavano da lontano.

È una storia già vista.
All’inizio si rideva delle auto elettriche.
Si rideva dell’idea di portare internet ovunque via satellite.
Poi la realtà ha fatto il resto.

È una storia già vista. Elon Musk veniva deriso quando parlava di auto elettriche. Tesla era considerata un’utopia costosa. Anche i satelliti per l’internet globale sembravano fantascienza. Poi i fatti hanno smentito gli elogi funebri scritti troppo presto.

Tagli al budget? Forse si chiama Intelligenza Artificiale

Si parla di riduzione degli investimenti come segnale di resa. Ma e se invece fosse una riallocazione strategica? Oggi c’è una tecnologia che assorbe risorse, energie e priorità: l’Intelligenza Artificiale. E immaginare il Metaverso senza IA è come immaginare lo smartphone senza internet.

Chi usa davvero un visore se lo chiede spesso:
Perché non c’è ancora un’IA integrata che mi aiuti qui? Perché non traduce in tempo reale le conversazioni?

Nei mondi virtuali la lingua è una barriera enorme. L’inglese domina. Un’IA che traduca in tempo reale le interazioni vocali abbatterebbe uno dei limiti più grandi dell’esperienza sociale. E questo è solo un esempio. Metaverso e IA non sono alternative: sono destinati a convergere

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Dichiarare morto il Metaverso è intellettualmente disonesto

Criticare è legittimo. Anzi, necessario. Ma farlo senza entrarci davvero dentro, senza usarlo quotidianamente, senza distinguere tra limiti strutturali e problemi risolvibili, diventa un esercizio di moda. Oggi va di moda demolire il Metaverso. Domani, forse, sarà di moda rimpiangerlo.

E c’è anche un rispetto dovuto a chi lo utilizza, a chi ci lavora, a chi ci ha investito tempo e denaro non per fanatismo, ma perché in quelle esperienze vede valore reale.

Continuare a sognare non è un errore

Da bambini sognavamo mondi digitali, realtà alternative, spazi condivisi oltre lo schermo. Oggi quelle cose esistono, imperfette, scomode, migliorabili. Ma esistono.

Connessione al Metaverso… in caricamento.
Forse, questa volta, vale la pena aspettare che finisca.

Forse il Metaverso non è quello che ci avevano promesso. Ma non è nemmeno quello che oggi si vuole liquidare frettolosamente. La tecnologia non cresce seguendo i titoli dei giornali. Cresce per tentativi, errori, rallentamenti e ripartenze.

Smettere di sognare proprio ora sarebbe il vero fallimento.

@RIPRODUZIONE RISERVATA
Fonte REDAZIONE

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Pubblicato da
Sebastiano Vangone