Napoli – Ventun anni dopo l’agguato che cambiò per sempre gli equilibri criminali a Pianura, il caso dell’omicidio di Carmine Pesce torna al punto di partenza. La quinta sezione penale della Corte di Cassazione ha annullato – per la seconda volta – le condanne all’ergastolo inflitte a Giuseppe Mele, ritenuto il boss del clan omonimo e cugino della vittima, ad Antonio Varriale e ad Antonio Bellofiore.
Il verdetto della Suprema Corte, dispone un nuovo giudizio davanti a un’altra sezione della Corte d’assise d’appello di Napoli. Si tratta del terzo passaggio in appello per un delitto che, nel febbraio 2004, segnò la fine della pax camorristica nel quartiere flegreo e l’inizio di una sanguinosa faida familiare.
Carmine Pesce, considerato il cassiere del gruppo Pesce-Marfella, venne trucidato sotto casa in un agguato clamoroso. L’omicidio non fu solo un fatto di sangue: fu il colpo definitivo che spaccò in due l’organizzazione malavitosa di Pianura.
Da una parte i Pesce, fedeli al boss Marfella e guidati da Pasquale Pesce (divenuto in seguito collaboratore di giustizia); dall’altra l’asse Mele-Varriale, che da quel momento avrebbe imposto il proprio dominio sul territorio.
Secondo la ricostruzione accusatoria, basata soprattutto sulle dichiarazioni dei pentiti, Giuseppe Mele – nonostante il legame di sangue con la vittima – avrebbe partecipato attivamente al delitto come esecutore materiale, esplodendo addirittura il colpo di grazia.
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Un patto scellerato tra cugini e alleati, dove gli affari illeciti – spaccio di stupefacenti, racket ai commercianti, controllo delle case popolari – valevano più di qualsiasi vincolo parentale.Per questo delitto, Mele, Varriale e Bellofiore avevano incassato l’ergastolo sia in primo grado sia nel successivo appello.
La Cassazione aveva già annullato le condanne una prima volta; il secondo grado di rinvio le aveva ribadite. Ora il nuovo “ribaltone” dei giudici romani rimette tutto in discussione.Diverso il destino degli altri componenti del gruppo di fuoco: le condanne all’ergastolo per Ciro Cella e Francesco Esposito sono ormai definitive da tempo.
Il nuovo processo d’appello dovrà fare luce – ancora una volta – sulle responsabilità di tre imputati che, da oltre due decenni, vedono pendere sulle loro teste l’accusa di uno degli omicidi più simbolici della camorra napoletana occidentale. A Pianura, tra le case popolari e le piazze di spaccio, la faida continua a scrivere la sua storia anche nelle aule di giustizia.
Fonte REDAZIONE





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