Napoli - Chi ha fornito quell’ingente quantità di droga, oppure per conto di chi la custodiva davvero e, soprattutto, a chi era diretta? Sono le domande alle quali dovrà rispondere in aula Gennaro Esposito, 29 anni, di Secondigliano, arrestato ieri dai carabinieri e in attesa dell’udienza di convalida nel carcere di Secondigliano.
Per gli inquirenti si tratta dell’anello di una catena più ampia, ancora tutta da ricostruire: fornitori, grossisti e clienti finali.
Il blitz è scattato nelle ultime ore in un appartamento di Secondigliano, dove Esposito vive con la famiglia. I militari dell’Arma, in divisa e in borghese, hanno bussato fingendo un normale controllo, poi sono entrati in azione con una perquisizione meticolosa. L’obiettivo iniziale erano armi, che non sono state trovate.
Al loro posto, però, è emerso un vero e proprio “tesoro” di stupefacenti: 15 chili di hashish, quasi 2 chili di eroina e 810 grammi di cocaina, per un totale di circa 18 chili di droga pronta, secondo gli investigatori, per essere immessa sul mercato.
Il nascondiglio scelto dal 29enne racconta da solo il livello di spregiudicatezza: la droga era stipata nell’armadio della cameretta, accanto alla culla del figlio neonato. Un luogo che Esposito riteneva evidentemente “sicuro” in caso di perquisizioni, ma che non è bastato a evitargli le manette.
Tutto il materiale è stato sequestrato. Secondo una prima stima, una volta “tagliata” e rivenduta al dettaglio, quella partita di droga avrebbe potuto fruttare fino a 100 mila euro.
Ad arrestare Esposito sono stati i carabinieri della stazione di Secondigliano.Potrebbe interessarti
Il figlio di Kojak davanti al gip
Sarà il giudice per le indagini preliminari, nelle prossime ore, a valutare la convalida dell’arresto e le misure cautelari da applicare, mentre gli investigatori cercano di risalire alla filiera: chi riforniva un deposito tanto consistente? Si trattava di droga destinata al solo mercato locale o anche a piazze di spaccio più ampie?
L’ombra della camorra, intanto, si allunga sul cognome Esposito. Gennaro è figlio di Pietro Esposito, detto “Kojak”, nome noto alle cronache della prima faida di Scampia e Secondigliano. “Kojak” ebbe un ruolo nell’omicidio di Gelsomina Verde, la 22enne impegnata nel sociale rapita, torturata, picchiata e poi uccisa con tre colpi di pistola il 27 novembre 2004, nel pieno della guerra tra il clan Di Lauro e gli “scissionisti” Amato-Pagano. Il corpo di “Mina” venne poi bruciato e abbandonato in una campagna alla periferia nord di Napoli.
Pietro Esposito si pentì il giorno dopo il suo arresto, raccontando ai magistrati retroscena, dinamiche e nomi dei partecipanti a quel delitto che sconvolse l’opinione pubblica. Proprio per la scelta di collaborare con la giustizia gli fu inflitta una condanna considerata relativamente lieve rispetto all’efferatezza del crimine.
In quelle stesse vicende spunta anche la figura di Gennaro Notturno, boss di peso del clan Di Lauro, oggi collaboratore di giustizia, noto anche per il tatuaggio sul polso con il nome “Mina” e per i racconti agghiaccianti resi ai pm, come quello in cui riferisce che “un boss giocò a pallone con la testa di un morto”.
Il peso di quel passato ora torna a gravare sul presente del figlio di “Kojak”. Gli inquirenti, però, al momento tengono distinto il profilo giudiziario di Gennaro Esposito da quello del padre pentito e si concentrano sul traffico di droga scoperto in casa.
Toccherà al 29enne spiegare, davanti al giudice, da dove arrivassero quei 18 chili di stupefacenti, chi fosse il proprietario vero della partita e chi ne attendeva la distribuzione sulle piazze di spaccio di Napoli e dell’hinterland.






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