Sparanise– Un impianto che sulla carta doveva trattare fanghi e rifiuti non pericolosi, ma che, secondo l'accusa, operava in "maniera abusiva" e con una "gestione negligente" tale da causare un danno ambientale concreto.
Scattano i sigilli nell'area industriale ASI di Sparanise: i Carabinieri Forestali di Calvi Risorta e la Polizia Locale hanno eseguito un decreto di sequestro preventivo, convalidato dal GIP di Santa Maria Capua Vetere, per un complesso aziendale situato lungo la Statale Appia.
Le ipotesi di reato formulate dalla Procura della Repubblica, che ha coordinato le indagini, sono pesanti: inquinamento ambientale e smaltimento illecito di reflui.
L'allarme dei cittadini
L'inchiesta non nasce da controlli di routine, ma dalle persistenti e allarmate segnalazioni dei cittadini. Già dall'inizio del 2023 e fino alla metà del 2024, i residenti della zona avevano denunciato miasmi pestilenziali provenienti dal Rio Lanzi e un evidente, anomalo peggioramento delle acque del canale, notate come "scure e maleodoranti" in particolare nel tratto che incrocia la SS7.
Le denunce hanno spinto la Polizia Giudiziaria a effettuare i primi sopralluoghi, confermando empiricamente la grave compromissione del corso d'acqua.Potrebbe interessarti
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Le indagini: 800 metri di reflui illeciti
A quel punto, è scattata un'indagine complessa e tecnica. Gli investigatori, supportati dai tecnici dell'ARPAC di Caserta, hanno dovuto letteralmente "mappare" la vasta rete fognaria dell'area industriale ASI che confluisce nel Rio Lanzi.
L'obiettivo era chiaro: risalire al punto di origine dell'inquinamento. Attraverso molteplici campionamenti e tracciamenti, i sospetti si sono concentrati su un'unica azienda, specializzata nel trattamento di rifiuti liquidi, situata a circa 800 metri in linea d'aria dal punto di scarico nel Rio Lanzi.
Il "rispetto solo formale" delle regole
Con un decreto della Procura, le forze dell'ordine e l'ARPAC hanno quindi effettuato un'ispezione mirata all'interno dell'impianto. Sono stati eseguiti prelievi dagli scarichi e dai pozzetti interni della ditta.
Il confronto tra le analisi effettuate sui campioni prelevati nell'azienda e quelle sui campioni prelevati nelle acque e nei sedimenti del Rio Lanzi ha dato un esito inequivocabile, sebbene ancora in fase di indagine preliminare: una netta compatibilità.
Secondo la tesi accusatoria, confermata dal GIP, il complesso aziendale operava nel "rispetto solo formale" degli adempimenti prescritti dall'Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA). In pratica, pur avendo le carte in regola, la "negligenza gestionale" del titolare avrebbe portato l'azienda a operare in maniera abusiva, sversando reflui in spregio ai limiti di concentrazione imposti dalla legge e causando il grave inquinamento del Rio Lanzi.






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