Dieci imputati del processo al clan Moccia chiedono che il procedimento venga trasferito lontano da Napoli. Una richiesta pesantissima, depositata ieri in aula, che parla apertamente di un clima “avvelenato” al Centro direzionale, tale da mettere a rischio – secondo la difesa – l’imparzialità del giudizio.
Nelle 33 pagine dell’istanza di remissione, firmata tra gli altri da Antonio, Luigi e Angelo Moccia, si legge che nel tribunale partenopeo si sarebbe «realizzata una spaccatura manichea tra il ‘bene’, rappresentato dal procuratore Nicola Gratteri, e il ‘male’, incarnato dagli avvocati della difesa che mirano alla prescrizione».
Una contrapposizione che, sempre secondo i firmatari, potrebbe «influenzare il giudizio» fino a compromettere la serenità del collegio.
La scintilla che avrebbe innescato lo “scandalo mediatico” richiamato nell’istanza sarebbe la scarcerazione per decorrenza dei termini di 15 dei 43 imputati, avvenuta ad agosto. Da allora, denunciano i difensori, il caso sarebbe stato oggetto di una pressione crescente: articoli e interventi pubblici, dalle firme di Roberto Saviano ai commenti social del deputato Francesco Emilio Borrelli, fino alla presenza in aula del procuratore Gratteri all’udienza del 7 ottobre.
Quel giorno il capo della Procura partecipò per esprimere il sostegno alle pm Ivana Fulco e Ida Teresi e per ribadire la necessità di condurre finalmente il processo – uno dei più complessi sulla presunta associazione camorristica degli afragolesi – alla sentenza di primo grado.Potrebbe interessarti
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Ma è soprattutto un provvedimento interno al palazzo di giustizia ad alimentare il presunto “legittimo sospetto”. Si tratta dell’invito con cui il presidente del Tribunale, Giampiero Scoppa, ha sollecitato i giudici della settima sezione penale a chiudere il processo «ineludibilmente» entro settembre, per evitare l’ennesimo cambio di collegio dopo il trasferimento del giudice Michele Ciambellini alla Procura generale della Cassazione.
È il quattordicesimo avvicendamento dall’apertura del dibattimento. Per rispettare quei tempi, il Tribunale ha varato un calendario serratissimo: quattro udienze a settimana per due mesi. Una scelta che la difesa definisce «insostenibile» e «pregiudizievole».
Ora la parola passa alla Corte di Cassazione, che dovrà pronunciarsi sulla richiesta di trasferire il processo altrove. Fino ad allora, la sentenza resta sospesa.
Intanto il dibattimento prosegue. Ieri la Procura ha depositato il verbale del collaboratore di giustizia Salvatore Scafuto, chiedendone l’esame in aula. Le pm intendono inoltre riconvocare uno dei testimoni chiave, l’ufficiale dei carabinieri Andrea Manti. Solo dopo che la Suprema Corte avrà sciolto il nodo della “legittima suspicione”, il collegio potrà tornare a concentrarsi sul verdetto.






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