Napoli,– In un'epoca di teatri affollati da musical hollywoodiani e stand-up digitali, il cuore pulsante della comicità partenopea batte ancora forte sulle assi del Teatro Totò. Dal 7 al 16 novembre, via Cavara a Foria si trasformerà in un'arena di risate e rivelazioni con È asciuto pazzo ’o parrucchiano, la perla drammaturgica firmata nel 1989 da Gaetano Di Maio e dalla figlia Olimpia.
Non un semplice revival, ma un rito teatrale che resuscita la memoria collettiva: un'esplosione di umorismo popolare dove la superstizione si mescola alle miserie quotidiane, e la fede vacilla tra un miracolo fasullo e una confessione rubata.
Al timone di questa edizione esplosiva c'è Oscar Di Maio, discendente diretto della gloriosa stirpe dei Di Maio – quella dinastia che ha forgiato generazioni di comici napoletani con pennellate di ironia tagliente e poesia terra-terra. Non solo protagonista, ma anche regista: Di Maio infonde nell'opera un'energia viscerale, trasformando il debutto originale al Teatro Sannazaro – con la leggendaria Luisa Conte e la regia di Giuseppe De Martino – in un omaggio vivo e palpitante.
"Non è nostalgia, è urgenza", ha confidato Di Maio in un'anteprima stampa, "voglio che il pubblico senta il profumo di campanile e chiacchiere di cortile, come se fosse ieri". Al suo fianco, una compagnia affiatata che sa dosare il ritmo come un caffè serrato: Alessandra Borrelli nei panni della perpetua indomabile donna Rosa, e Ciro Scherma come il sacrestano Modestino, un vulcano di ingenuità e malizia.
Guidati dall'occhio appassionato di Gaetano Liguori, questi interpreti scolpiscono personaggi che sembrano usciti da un dipinto di Totò: autentici, esagerati, irresistibilmente umani.Potrebbe interessarti
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Affiancato dalla chiacchierona donna Rosa e dal pasticcione Modestino, il sacerdote inventa espedienti goffi: miracoli di cartapesta, litigi da sagrestia e sotterfugi che puzzano di incenso e sudore. Tra gelosie di vicinato, "peccati" da confessionale e un Vescovo in arrivo per indagare su un prodigio sospetto, la commedia si snoda come una parabola moderna.
È farsa pura, sì – con battute che volano come schiaffi e gag che strappano applausi a scena aperta – ma sotto la superficie ribolle una morale profonda: la risata come specchio delle crepe umane, la beffa come via per la redenzione. Don Sandro, travolto dal suo stesso turbine di bugie pie, sfiora la follia in nome del bene comune, ricordandoci che, in fondo, siamo tutti parrucchieri di illusioni.
E qui sta il genio dei Di Maio: trasformare il dialetto napoletano in un'arma affilata, capace di squarciare il velo sulla fragilità dell'uomo. In un 2025 segnato da crisi spirituali e social media che promettono miracoli digitali, questa storia profuma di attualità. Parla di comunità che si sgretolano, di preti che inciampano e di fedeli che ridono per non piangere – un'eco lontana ma vicinissima ai nostri tempi incerti.
Il finale, con il suo abbraccio di pietà e speranza, lascia il pubblico con un sorriso amaro: non solo intrattenimento, ma un invito a riflettere sulla laicità della fede e sull'amore come atto di resistenza.Il Teatro Totò, baluardo della tradizione partenopea, conferma il suo ruolo di custode vigile: non un museo polveroso, ma un laboratorio vivo dove i miti camminano a passo svelto.
Biglietti già in prevendita, e le serate dal 7 al 16 novembre promettono il tutto esaurito. Perché, come insegna la scuola dei Di Maio, la comicità non è mai solo risata: è un rito laico, un ponte tra ieri e domani, che ci ricorda quanto sia bello – e folle – essere umani. Prenotate il vostro posto in prima fila: la pazzia sta per scoppiare.





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