

La Procura di Napoli
Napoli - Di fronte ai magistrati e nelle carte dell’inchiesta appare con due soprannomi: Michelino o Michele il piccolino. Ma dietro quel diminutivo si nasconde una figura centrale del clan Russo, l’erede diretto di uno dei due storici fondatori della cosca, Salvatore Andrea Russo, condannato all’ergastolo insieme con Pasquale Russo.
Figlio d’arte, classe 1981, Michele Russo ha saputo ritagliarsi un ruolo nuovo: non più solo il discendente della famiglia, ma l’“ingegnere” che, grazie agli studi universitari completati in carcere e al suo carisma nei piccoli centri del Nolano, era diventato un riferimento temutissimo da imprenditori e tecnici.
Ufficialmente Russo lavorava come ingegnere presso uno studio tecnico a Nola, in via Pontano. Proprio lì, con un decreto della Procura, gli investigatori piazzano telecamere e microfoni: vogliono capire chi entra, chi incontra, come si muove.
Le immagini non lasciano dubbi: l’ufficio diventa un crocevia dei rapporti interni al clan.
Il 19 gennaio 2023, ad esempio, la Smart Fortwo di Russo Paolino Felice lascia Nappi, arriva davanti allo studio, attende Michele e si allontana con lui a bordo.
Il 3 marzo, è la volta di Pasqualino Biancardi, che si intrattiene a parlare in strada con Russo e con Raffaele Vaiano.
Il 24 maggio, le telecamere registrano un incontro teso: protagonista ancora Michele, insieme a Paolino Russo e Giovanni Romano. L’ambientale cattura un violento scontro: accuse, rimproveri, e lamentele che rimbalzano per giorni anche nelle conversazioni registrate a casa di Nappi.
È in quegli scambi che gli investigatori comprendono la realtà: Michelino non è un semplice tecnico. È – di fatto – il capo reggente in assenza degli storici leader incarcerati.
Il suo potere non deriva da pistole o racket, ma dal controllo delle operazioni immobiliari. Russo impone la propria presenza nei lavori privati: “Vanno da lui perché è il figlio di quello”, spiega Nappi in una delle intercettazioni chiave.
Gli imprenditori lo cercano non per le sue competenze, ma perché mostrarlo sul cantiere equivale a garantirsi protezione: nessuno avrebbe osato disturbare “l’ingegnere”.
Un potere silenzioso, moderno, che trasforma gli appalti in una rendita. E i compari storici del clan non gradiscono: Michelino, dicono, si prende tutto. Centralizza, controlla, decide. E soprattutto blocca le estorsioni, quando gli affari immobiliari promettono profitti maggiori.
Le frizioni diventano esplosive. In un’intercettazione, Ambrosino Antonio sbotta:
«Michele, tu non puoi fare più il bravo. Non stai facendo più l’architetto: vuoi fare la malavita. Se sei architetto fai i disegni, non ti devi mettere in mezzo a dire: la casa di quello me la prendo io».
Una critica che si ripete. Nappi e Romano protestano quando Michele ordina di bloccare la richiesta di pizzo a una società immobiliare: lui era intervenuto nell’affare come tecnico e non voleva che una “classica” estorsione disturbasse il suo ruolo.
Il sistema, a volte, arriva a un compromesso: se lo studio Russo prende un incarico, qualcuno del clan viene poi mandato sul cantiere per la percentuale. Il carisma dell’ingegnere e le esigenze economiche degli affiliati si bilanciano così.
Ma non sempre il nuovo metodo funziona. Significativa la conversazione del 2 dicembre 2022: Russo Paolino Felice che sta per aprire un nuovo supermercato, Michele esplode: si era convinto che avrebbe ottenuto un incarico all’interno del cantiere, e invece l’imprenditore si era rivolto a un altro tecnico.
«Sto scemo… gli faccio cadere i denti dalla bocca. Ho sbagliato tutto», sbotta Michelino, rimproverandosi per aver addirittura bloccato l’estorsione pur di guadagnare “alla maniera pulita”.
L’autorità di Russo, tuttavia, resta indiscussa. È lui a dare il via libera all’inserimento di affiliati napoletani, vicini ai Licciardi, per il recupero di crediti. È lui a decidere la spartizione dei proventi delle scommesse illegali online, come emerge da una conversazione del 4 aprile 2023: i guadagni vanno divisi anche con i detenuti e con il padre ergastolano.
È sempre lui, nel gennaio 2024, ripreso davanti al bar Gioya mentre discute con i fratelli Zoppino: parla di un litigio con “Giovanni” per conto dei “compagni di Napoli” riguardo a un’estorsione.
Dalle intercettazioni, gli investigatori ricostruiscono un profilo complesso: Michelino, il figlio del boss che in cella studia, si laurea e conquista una patina di rispettabilità. Ma una volta fuori, quella laurea non basta a tenerlo lontano dagli affari del clan: anzi, diventa un’arma nuova, un modo diverso di comandare.
Un capo giovane, carismatico, temuto. E anche discusso: gli affiliati più anziani non condividono i suoi metodi, troppo “moderni”, troppo autonomi.Ma il rispetto verso la sua famiglia e il timore che incute gli garantiscono una posizione di potere.
Per gli inquirenti i gravi indizi sono chiari: Russo Michele, classe ’81, meglio noto come Michelino non è un semplice professionista che si muove ai margini del clan. È un dirigente, un decisore, un punto di riferimento.
Il figlio del fondatore passato per l’università dietro le sbarre, diventato il volto nuovo — e temuto — degli affari del clan nel Nolano.