Cronaca Giudiziaria

Clan D'Alessandro, le rivalità familiari e lo scontro per la discendenza a Scanzano

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Nell’ordinanza cautelare che la scorsa settimana ha portato in carcere i nuovi vertici del clan D'Alessandro di Castellammare c'è la fotografia storica di un’organizzazione compatta verso l’esterno ma attraversata da visioni diverse sulla gestione interna degli affari e del territorio. Le intercettazioni svelano i dialoghi tra i vertici e il ruolo e l'ascesa dei giovani eredi

Il vuoto di comando dopo l’arresto di ’o topo

Tutto comincia nell’agosto 2009, quando viene arrestato Vincenzo D’Alessandro, classe 1976, soprannominato 'o topo, ultimo erede in libertà del fondatore del clan, il defunto Michele D’Alessandro. Con la sua cattura si apre un vuoto di comando ai vertici dell’organizzazione di Scanzano.

Secondo quanto ricostruito dai magistrati, quello spazio viene rapidamente colmato dal cugino Michele D'Alessandro classe '78 figlio di Luigi detto Gigginiello, all’epoca detenuto, uscito dal carcere nel 2018 dopo quasi trent'anni di detenzione. È lui, Michele ’78, a emergere come nuovo punto di riferimento operativo del clan.

Gli inquirenti sottolineano che la stessa esistenza del clan D’Alessandro è da tempo un 'dato giudiziario consolidato': sono stati individuati capi, promotori, sodali, e soprattutto le finalità camorristiche fondate sul controllo pressoché totalitario delle attività illecite sul territorio stabiese.

Scanzano, due aree e due linee di famiglia

A partire dal 2010 le indagini descrivono un clan articolato in due rami interni, radicati in due zone distinte del quartiere di Scanzano e in sostanziale competizione tra loro sul piano del prestigio e della gestione concreta degli affari.

Da un lato c’è il gruppo legato alla storica area di Partoria, guidato proprio da Michele D’Alessandro classe 1978. Dall’altro lato vi è la linea che fa riferimento alle cosiddette Palazzine di via Pergole, definita dagli investigatori come il fronte degli 'esponenti più giovani' del casato.

In quest’ultima area – la zona delle Palazzine – emergono soprattutto i nomi di:

Michele D’Alessandro, classe 1992, figlio di Luigi D’Alessandro classe 1973

Michele D’Alessandro, classe 1995, figlio di Vincenzo classe 1976

Michele D’Alessandro, classe 1995, e Luigi, classe 1998, figli di Pasquale D’Alessandro classe 1970

Gli atti giudiziari precisano che non si tratta di fazioni in lotta, né di un conflitto aperto. Piuttosto, emergono rapporti di 'rivalità e competizione' per la gestione del territorio e degli affari, in un quadro di sostanziale cooperazione e di costante ripartizione dei proventi illeciti.

Due famiglie, una sola organizzazione

La chiave di lettura delle intercettazioni è chiara: il clan si muove lungo due grandi linee familiari interne. La prima fa capo alla famiglia del defunto Michele D’Alessandro classe 1945, storico capoclan. La seconda si riconosce nel fratello Luigi, classe 1947.

È il filone riconducibile a Luigi ’47 a risultare, nelle carte, 'più attivo e predominante sul territorio', con Michele D’Alessandro ’78 saldo al comando fino all’arresto dell’ottobre 2013. La linea che discende dal defunto Michele ’45, al contrario, viene descritta come meno radicata e più giovane, ma tutt’altro che marginale.

Qui spicca la figura di Michele D’Alessandro classe 1992, figlio di Luigi ’73, che si muove sotto 'l’attenta regia' della madre, e della nonna paterna Teresa Martone. Un vertice familiare femminile che, a detta degli inquirenti, influenza e orienta le scelte del giovane referente della zona di via Pergole.

'Non in lotta': l’equilibrio dei proventi

Gli inquirenti insistono su un punto: le due linee interne non risultano impegnate in una guerra intestina. Non c’è sovrapposizione violenta di interessi criminali, ma una divisione del territorio e delle entrate che punta a preservare l’unità del clan verso l’esterno.

Le carte parlano di un accordo di fondo: i proventi illeciti vengono suddivisi 'in proporzione' e i due rami familiari contribuiscono insieme al sostentamento delle famiglie degli affiliati detenuti. Un equilibrio delicato, che serve da valvola di sicurezza per evitare che la competizione interna diventi scontro.

A dividerli, evidenzia l’ordinanza, non è la finalità – sempre camorristica – ma 'la diversa visione del come gestire gli affari della famiglia e del modo in cui controllare il territorio di loro competenza'. Non una frattura, dunque, ma due strategie e due culture criminali che convivono dentro la stessa sigla.

Rossetti e Spagnuolo, i 'delfini' nelle due linee familiari

Dentro questo scenario, gli investigatori collocano due figure chiave, in posizione 'paritetica' nelle rispettive aree di riferimento: Antonio Rossetti detto 'o guappone e Nino Spagnuolo detto capastorta.

Rossetti viene descritto come il 'delfino' di Michele D’Alessandro ’78 e del fratello di quest’ultimo, Pasquale D’Alessandro classe 1971, detto 'o niro. È l’uomo di fiducia, il 'tuttofare' del ramo di Partoria: colui che si muove in prima battuta sul territorio, amplia gli interessi del gruppo in settori illeciti e perfino leciti, reinvestendo il cosiddetto denaro sporco.

Spagnuolo, invece, rappresenta il contraltare nel ramo che fa capo ai discendenti del fondatore Michele ’45. Viene collocato nella linea riconducibile a Luigi D’Alessandro classe 1973, Vincenzo ’76 e Pasquale ’70, tutti detenuti e figli del capostipite. Con Vincenzo ’76 lo lega, specificano gli atti, un rapporto 'di comparato', un vincolo di comparaggio che risale alla giovane età.

Rivalità personali dietro le visioni diverse

L’opposizione tra le due visioni interne, spiegano i magistrati, passa anche per la rivalità personale tra Rossetti e Spagnuolo. Quest’ultimo è convinto che proprio Rossetti sia il mandante dell’attentato alla sua vita avvenuto nel 2015.

In quella lettura, Rossetti sarebbe mosso da 'gelosia' per le 'spiccate qualità criminali' di Spagnuolo e da 'astio' per averne scoperto – sempre secondo la ricostruzione investigativa – le 'molteplici ingerenze illecite per scopi personali ed a discapito dell’organizzazione'. Sullo sfondo, ancora una volta, non la rottura del clan, ma la tensione tra chi rivendica un controllo centralizzato degli affari e chi prova ad allargare il proprio spazio di manovra.

Il covo di Spoleto: il clan in diretta

L’immagine più nitida della struttura e delle gerarchie interne del clan arriva però a cavallo tra settembre e ottobre 2013, a centinaia di chilometri da Castellammare, a Spoleto. È qui che gli investigatori individuano un’abitazione che diventa, nelle carte, il 'covo' di Michele D’Alessandro ’78.

In quella casa, il reggente del clan si è rifugiato con la moglie Giovanna Girace, Antonio Rossetti, Stefania Boccia e Sabato Schettino, nel tentativo di sottrarsi all’ordine di carcerazione emesso il 7 ottobre 2013 dalla Procura generale di Bologna. Il covo, però, viene intercettato: all’interno vengono piazzate microspie che trasformano quelle stanze in un osservatorio privilegiato sulle dinamiche del clan.

'Importantissime', scrivono gli inquirenti, sono le conversazioni intercettate tra Michele D’Alessandro ’78 e Antonio Rossetti. Dialoghi che, secondo l’accusa, confermano il quadro investigativo: il ruolo apicale di Michele, la centralità operativa di Rossetti, i rapporti con il ramo più giovane di via Pergole e il sistema dei flussi di denaro verso le famiglie.

“Tu al posto mio”: la reggenza affidata a Rossetti

È in una di quelle conversazioni che Michele D’Alessandro ’78, ormai deciso a costituirsi nel carcere di Spoleto, affida formalmente a Rossetti il compito di sostituirlo sul territorio alla guida del clan.

Per Rossetti si apre una partita complessa: assume un ruolo da reggente senza avere legami di sangue con la famiglia D’Alessandro. Deve imporsi su giovani rampolli ancora in libertà, diretti nipoti del fondatore Michele ’45: tra questi, Michele D’Alessandro classe 1992, figlio di Luigi ’73, e Michele D’Alessandro classe 1995, detto topino, figlio di Vincenzo ’76.

Consapevole delle resistenze, Michele ’78 indica a Rossetti anche il metodo per legittimarsi: i rapporti con gli altri affiliati di rango dovranno passare attraverso Annunziata Napodano, madre di Michele ’78. In altre parole, la linea operativa di Rossetti dovrà ancorarsi alla figura materna del reggente, in modo da restare comunque sotto l’ombrello del ramo di Partoria.

“Ci devono dare il mensile”: il caso ambulanze e slot

Le intercettazioni documentano anche come il denaro venga usato per tenere in equilibrio le due visioni interne. Il 10 dicembre 2014, in una conversazione indicata con il numero di progressivo 3944, i carabinieri intercettano un dialogo tra Michele D’Alessandro ’92 e la madre.

Il giovane referente di via Pergole contesta la gestione della spartizione dei proventi estorsivi da parte dell’altro ramo familiare e si dice pronto a cambiare schema: “Michele D’Alessandro ’92 – annotano gli inquirenti – diceva alla madre di non condividere le soluzioni adottate dall’altro ramo familiare sulla spartizione dei proventi delle estorsioni, spiegandole che a quel punto avrebbe preferito ricevere un ‘mensile’”.

La madre, consapevole della forza minore del proprio ramo, prova a riportarlo a più miti consigli, ricordandogli che già esiste un flusso mensile gestito da Rossetti a loro favore:

D'ALESSANDRO Michele '92: “si ma perchè ad esempio dobbiamo dividere quando poi il loro ce l'hanno?... Gli hai ordinato sopra il loro?... Se si deve parlare io glielo dico... Dico io me la sono vista io... io sopra il vostro non mangio, se no mi devono dare i soldi al mese!...”

I. R.: “e quelli Antonio te la dà la cinquecento euro che ti porta al mese!”

D'ALESSANDRO Michele '92: “che mi sta dando Antonio!!!... Che fossero le macchinette?”

I. R.: “quelli là... a quando li abbiamo avuti...”

D'ALESSANDRO Michele '92: “l'ambulanza?... e che c'entra e gli altri possono mangiare sopra..!!”

Dietro le battute, gli inquirenti leggono un sistema preciso: una parte dei ricavi gestiti da Michele D’Alessandro ’78 viene distribuita mensilmente al ramo di via Pergole – tramite Rossetti – per il business delle ambulanze e delle 'macchinette', le slot machine. Non è solo ripartizione di guadagni, ma anche strumento di 'preservazione degli equilibri' tra le linee interne del clan, proprio nel momento in cui Michele ’92 mostra la volontà di 'imporsi' maggiormente all’interno dell’organizzazione.

(nella foto via Pergola a Scanzano, quartier generale della cosca e da sinistra in alto il defunto padrino Michele D'Alessandro, la moglie Teresa Martone e i tre figli. Pasquale, Luigi e Vincenzo. Da sinistra in basso Luigi D'Alessandro, Gigginiello, il figlio Michele, e poi Luigi D'Alessandro figlio di Pasquale, e i fratelli Michele e Vincenzo D'Alessandro figli di Luigi secondo genito del defunto padrino)

RIPRODUZIONE RISERVATA Articolo pubblicato il 16 Novembre 2025 - 17:53 - Giuseppe Del Gaudio
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Giuseppe Del Gaudio