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Castellammare, il boss D'Alessandro “consegnò” 2 uomini ai rivali per evitare una nuova guerra di camorra

Per scongiurare un nuovo bagno di sangue con il gruppo Di Somma-Lucarelli del Centro Antico, il boss Pasquale D'Alessandro avrebbe offerto due dei suoi affiliati come vittime sacrificali. Un pestaggio rituale, deciso a tavolino, con tanto di “istruzioni” sulle ferite da infliggere.
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Castellammare - Il piano del boss per fermare la guerra. Per evitare che un nuovo conflitto di camorra infiammasse le strade di Castellammare di Stabia, Pasquale D’Alessandro — erede dell’omonima e storica dinastia criminale — avrebbe scelto una soluzione brutale ma, nel suo mondo, efficace: “dare in pasto” due dei suoi uomini al clan rivale.

Un gesto non di sottomissione ma di diplomazia criminale. L’obiettivo era placare l’ira del gruppo Di Somma-Lucarelli, potente articolazione del Centro Antico, da anni ormai svincolata dall’egemonia dei D’Alessandro e protagonista, nei primi anni Duemila, di una sanguinosa faida.

Quella guerra aveva lasciato sul campo due nomi pesanti: Giuseppe Verdoliva, detto Peppe l’autista, storico braccio destro del defunto padrino Michele D’Alessandro, e Antonio Martone, cognato del boss e zio dell’attuale reggente Pasquale. Morti che, nel codice d’onore dei clan stabiesi, non si dimenticano. All'epoca i genitori di Di Somma e Lucarelli si allearono con i cutoliani Scarpa e Omobono pur di scalzare i D'Alessandro. Cosa che non riuscì nonostante i morti eccellenti.

Il raid di fuoco che riaccende l’odio

A far riesplodere la tensione era stato un episodio avvenuto nel maggio 2024.
Due giovani fedelissimi dei D’Alessandro, Gaetano Cavallaro, 28 anni, e Catello Manuel Spagnuolo, 25 anni, avevano aperto il fuoco contro l’auto di Raffaele Lucarelli, uno dei capi del gruppo rivale. Lucarelli viaggiava insieme alla compagna incinta: un gesto considerato sacrilego anche secondo le spietate regole della camorra.

Il raid non andò a segno, ma bastò a risvegliare antichi rancori. Il gruppo del Centro Antico,  tornò a minacciare vendetta. E così Pasquale D’Alessandro, consapevole della potenza di fuoco e della ferocia dei Di Somma-Lucarelli, decise di muoversi in anticipo.

Il “patto del pestaggio”

D’Alessandro, insieme al cugino e a Paolo Carolei, avrebbe raggiunto un accordo con Giacomo Di Somma e Raffaele Lucarelli: consegnare Cavallaro e Spagnuolo affinché subissero una “punizione esemplare”.

Un rito di vendetta riparatrice, eseguito in silenzio, per chiudere la partita senza spargimenti di sangue.

A sovrintendere al pestaggio furono incaricati Massimo Mirano, detto ’o maccarone, e Giovanni D’Alessandro, cugino del boss.

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I due avrebbero avuto il compito di accompagnare i “condannati” all’incontro e di assicurarsi che la vendetta seguisse il copione concordato: niente morti, ma ferite gravi, capaci di segnare a vita i due ragazzi e mandare un chiaro messaggio.

Il pestaggio e la messinscena dell’incidente

Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, il pestaggio avvenne con metodi feroci.
Quando Cavallaro e Spagnuolo arrivarono all’ospedale San Leonardo di Castellammare, raccontarono di essere rimasti coinvolti in un incidente stradale. Ma i medici, di fronte alla gravità e alla natura delle lesioni, non credettero a una parola.

Dal referto medico emergono dettagli agghiaccianti:

Gaetano Cavallaro riportava “avulsione completa della II e III falange del dito indice sinistro, con perdita di sostanza ossea, frattura basale del quarto dito della mano sinistra e frattura scomposta delle ossa nasali”.

Catello Manuel Spagnuolo presentava “trauma cranico commotivo, frattura delle ossa nasali, ferite lacero-contuse al volto”.

Ferite “su misura”, come stabilito nell’accordo tra i clan: gravi, ma non mortali. Un pestaggio calibrato, quasi chirurgico, per chiudere una contesa prima che diventasse guerra.

Un messaggio al mondo di sotto

L’episodio, oggi ricostruito nelle carte dell’inchiesta che ha riportato in carcere il boss Pasquale D'Alessandro e altri 9 affiliati, mostra un raro esempio di diplomazia criminale.
Nel codice della camorra, la violenza può essere anche strumento di pace: punire i propri uomini per evitare un conflitto più sanguinoso.

Pasquale D’Alessandro, temendo la vendetta dei Di Somma-Lucarelli, scelse di sacrificare due pedine per salvare il suo clan.Un gesto che, nella logica perversa del sistema camorristico, suona come segno di forza e di controllo.

Ma dietro quel “patto del pestaggio” restano due giovani sfigurati e un territorio ancora stretto nella morsa di antiche alleanze della camorra e ferite mai rimarginate.

Articolo pubblicato il 11 Novembre 2025 - 19:22 - Giuseppe Del Gaudio

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