Diciottomila e cinquecento euro. Tanto sarebbe costato, secondo la Direzione distrettuale antimafia di Napoli, il pacchetto di voti promesso dal clan Russo ad Andrea Manzi, allora candidato sindaco a Casamarciano alle amministrative di giugno 2023. Manzi, 65 anni, oggi consigliere comunale di opposizione, si presentava con la lista Casamarciano libera e giusta e ha chiuso la corsa al municipio al terzo posto, con il 28,1% dei consensi, alle spalle del sindaco poi eletto, Clemente Primiano, e di Carmela De Stefano.
L’ipotesi degli inquirenti è che Manzi avrebbe accettato la promessa di procurare voti formulata da Sebastiano De Capua, ritenuto appartenente al clan Russo e raggiunto oggi da misura cautelare in carcere. In cambio, sempre secondo l’accusa, ci sarebbe stata la disponibilità a versare 18.500 euro e a “mettere a disposizione” la futura amministrazione per soddisfare interessi ed esigenze del gruppo criminale qualora fosse stato eletto.
Questo segmento dell’indagine si inserisce nel quadro più ampio dell’operazione che, all’alba, ha portato all’esecuzione di 44 misure cautelari – 34 in carcere e 10 ai domiciliari – a carico di esponenti e fiancheggiatori dei clan Russo e Licciardi, storicamente radicati nell’area del Nolano e nell’hinterland napoletano.
Il blitz è stato condotto dai Carabinieri del gruppo di Castello di Cisterna, con il supporto di circa 250 militari, sotto il coordinamento della Dda partenopea.
Il no del gip alle misure per Manzi
Nonostante il quadro ricostruito dagli investigatori, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, Isabella Iselli, ha respinto la richiesta di applicare una misura cautelare nei confronti di Manzi.
A chiederla erano stati i pubblici ministeri Henry John Woodcock e Vincenzo Toscano, titolari del fascicolo sul presunto condizionamento del voto a Casamarciano da parte del clan Russo.
La decisione del gip esclude, al momento, restrizioni alla libertà personale del consigliere di opposizione, che resta indagato e dovrà difendersi nel prosieguo del procedimento. L’ordinanza, firmata da Iselli, è la stessa con cui sono state disposte le decine di arresti eseguiti oggi e rappresenta uno dei primi snodi giudiziari di un’inchiesta destinata ad avere riflessi politici nei comuni coinvolti.
Cicciano, il sindaco sotto inchiesta
La mano lunga dei clan sulle urne, secondo la ricostruzione degli investigatori, non si sarebbe fermata a Casamarciano. Già nel 2022 e poi nel 2023 i Russo avrebbero tentato – e in parte riuscito – a condizionare le consultazioni amministrative in due comuni del Napoletano: Cicciano e la stessa Casamarciano.
Nel caso di Cicciano, al centro dell’indagine è il sindaco in carica, Giuseppe Caccavale. Il suo nome figura tra gli indagati per scambio elettorale politico-mafioso nell’ambito dello stesso procedimento coordinato dalla Dda di Napoli su Russo e Licciardi. Secondo gli atti, Caccavale avrebbe raggiunto un accordo con esponenti del clan in vista delle amministrative del 14 e 15 maggio 2023.
In base alla ricostruzione degli inquirenti, attraverso un intermediario il sindaco avrebbe accettato la promessa di un bacino di voti controllato dagli affiliati al clan Russo, impegnandosi in cambio a garantire “utilità” al gruppo criminale una volta ottenuta la fascia tricolore.Potrebbe interessarti
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Anche per Caccavale, tuttavia, la richiesta di una misura cautelare – in questo caso gli arresti domiciliari – avanzata dai pm Woodcock e Toscano è stata rigettata dal gip Isabella Iaselli. Il primo cittadino resta quindi indagato, ma in libertà, in attesa degli ulteriori sviluppi dell’inchiesta.
Sia Manzi sia Caccavale come tutti gli altri indagati sono da ritenersi innocenti ed ai fatti fino a prova contraria, e avranno modo di replicare alle accuse nel corso del procedimento in corso.
L’ombra dei clan su Monteforte Irpino
Il raggio d’azione contestato ai clan non si limita al perimetro della provincia di Napoli. Tra i destinatari delle misure eseguite dai Carabinieri figura anche un candidato alle prossime comunali di Monteforte Irpino, centro in provincia di Avellino chiamato al voto domenica 23 e lunedì 24 novembre dopo lo scioglimento per infiltrazioni mafiose.
Si tratta di Giovanni Mazzola, 38 anni, candidato al Consiglio comunale nella lista È ora, schierata a sostegno di Fabio Siricio, descritto dagli inquirenti come totalmente estraneo all’indagine. Per Mazzola il gip ha disposto gli arresti domiciliari. L’accusa, in questo caso, non riguarda direttamente il voto di scambio, ma il reato di esercizio abusivo di giochi e scommesse aggravato dalle finalità mafiose.
I fatti contestati risalgono a un periodo precedente alla sua candidatura, ma la presenza del suo nome nell’ordinanza, a ridosso di una consultazione già segnata dallo scioglimento del Comune per mafia, rafforza l’immagine di un territorio ancora permeabile agli interessi criminali.
Il quadro dell’inchiesta Dda
L’operazione coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli – guidata dal procuratore Nicola Gratteri, con l’aggiunto Sergio Ferrigno e il sostituto Henry John Woodcock in prima linea – punta a disarticolare un sistema che, secondo le accuse, intreccia traffici illeciti, gestione di giochi e scommesse, controllo del territorio e tentativi di interferenza nel processo democratico locale.
Le indagini, condotte dai Carabinieri del gruppo di Castello di Cisterna, guidato dal comandante Paolo Leoncini, e dal Nucleo investigativo, al comando del maggiore Andrea Coratza, hanno messo sotto la lente non solo la capacità militare dei clan Russo e Licciardi, ma anche la loro presunta strategia di infiltrazione nelle istituzioni comunali, tramite candidature “amiche” o comunque disponibili a patti di convenienza.
La linea della Dda appare chiara: ricostruire il perimetro degli accordi tra politica e camorra, contestare gli episodi di scambio elettorale politico-mafioso e, al tempo stesso, colpire i circuiti economici che finanziano i clan, come nel caso delle scommesse clandestine.
Tra politica e legalità
Le contestazioni a carico di amministratori in carica e aspiranti consiglieri rischiano ora di avere un impatto significativo sulla vita politica di Cicciano, Casamarciano e Monteforte Irpino. Nei primi due comuni napoletani, l’ombra della camorra incombe su tornate elettorali recentissime, mentre nel centro irpino l’operazione giudiziaria si innesta su un percorso già segnato dallo scioglimento per infiltrazioni mafiose.
In tutti i casi, le persone coinvolte restano presunte innocenti fino a sentenza definitiva e, per alcuni indagati, la stessa autorità giudiziaria ha ritenuto non sussistenti – al momento – le condizioni per applicare misure restrittive. Resta però, nero su bianco negli atti, il quadro di un rapporto tra clan e segmenti della politica locale che, secondo l’accusa, continua a cercare spazio nelle urne del Mezzogiorno.






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