Napoli - Il collaboratore Errico D’Ambrosio, oggi sotto protezione, nei suoi verbali di dichiarazioni davanti ai pm della Dda di Napoli ha raccontato anche che Antonio Pompilio, uno dei gestori del narcotraffico per conto del clan Amato-Pagano era diventato sempre più nervoso dopo aver appreso di una notizia che aveva scosso tutti: Raffaele Imperiale, il boss del narcotraffico internazionale, aveva deciso di collaborare con la giustizia. Una defezione che aveva il peso di un terremoto nel sistema camorristico.
L’allarme era scattato quando Antonio Pompilio, detto ’o Cafone, aveva scoperto che qualcuno aveva trovato e rimosso le microspie installate nell’auto e nell’abitazione dove si tenevano gli incontri del clan. Da quel momento, tutto era cambiato. Pompilio sapeva che la DIA lo stava osservando e aveva cominciato a temere non solo lo Stato, ma anche i suoi stessi “fratelli” d’armi.
La donna che decideva con il marito
Al vertice, secondo i racconti dei pentiti, c’era Debora Amato, “la signora del clan”, temuta e rispettata come pochi. Tutti sapevano che ogni decisione importante passava da lei e dal marito Mimmo, l’uomo che faceva da cerniera tra il clan e i grandi broker della cocaina.
Nel luglio del 2023 Debora era partita per la Spagna, insieme a Mimmo, per un incontro “chiarificatore” con Pompilio Antonio. Dovevano verificare i conti della famiglia e ristabilire gli equilibri. Ma quell’incontro, raccontano i pentiti, si era trasformato in un summit teso, pieno di sospetti.
L’incontro di Barcellona
A Barcellona, nella calura di un’estate che profumava di paura, Pompilio arrivò convinto che qualcuno volesse eliminarlo.Potrebbe interessarti
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D’Ambrosio ricorda che lui stesso, insieme ad altri affiliati, era andato a trovare Pompilio in Spagna tra giugno e agosto 2023. Con loro c’era anche “Checco” di San Pietro a Patierno, il braccio destro di Mimmo. Fu lui a raccontare che l’incontro a Barcellona non aveva chiarito nulla.
“La pace con Bocchetti non c’è stata”, aveva detto Checco, aggiungendo che solo Debora Amato aveva tentato di mediare: aveva promesso a Pompilio che Bocchetti, finito nel frattempo in carcere, non gli avrebbe fatto nulla. Ma il Cafone non si fidava più di nessuno. Restò in Spagna, a guardarsi le spalle.
La società di Mugnano
Dietro i rancori e le paure, c’erano sempre i soldi. D’Ambrosio rivela che tutto era nato da una “società” segreta creata dal gruppo di Mugnano per gestire la vendita di droga fuori dal controllo diretto del clan. Si dividevano gli introiti – anche 40mila euro al mese – tra Pompilio, Marrone Antonio, Calzone Carlo, Carletto il Piccolino, Enzo Tempesta, Errichelli Maurizio detto Sciminione, e altri nomi storici.
Quando Bocchetti seppe che Pompilio aveva svelato l’esistenza di quella società, andò su tutte le furie. Gli uomini di Mugnano capirono che la soffiata poteva costare loro la vita. Da quel momento, Pompilio visse nella paura di essere ucciso anche dai suoi stessi compagni.
5.continua






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