Cronaca Giudiziaria

Camorra, ecco come il clan Nobile "panzarottari" voleva prendersi Afragola

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Nelle 180 pagine del decreto di fermo della Dda che ha colpito la famiglia Nobile di Afragola si fa luce su una serie di episodi di violenza che hanno colpito la città negli ultimi mesi e che hanno causato non poche preoccupazioni agli investigatori.

Le indagini condotte dai pm Ilaria Sasso del Verme, Giorgia De Ponte e Francesca De Renzi e coordinate dal procuratore aggiunto Sergio Ferrigno della Dda di Napoli hanno al centro il nucleo familiare dei “panzarottari”, soprannome che rimanda al passato da venditore ambulante del capostipite Antonio Nobile, trasformato nel tempo in marchio di un gruppo criminale strutturato che oggi comprende figli, nipoti e congiunti schierati su più livelli dell’organizzazione.​

Secondo gli inquirenti, la parabola dei Nobile si inserisce nel vuoto di potere aperto dalla disarticolazione dei gruppi Luongo‑Sasso‑Barbato, che per anni hanno rappresentato il braccio operativo dei Moccia ad Afragola.

Proprio nello spazio lasciato dagli storici referenti, falcidiati da arresti e detenzioni, il gruppo dei “panzarottari” avrebbe progressivamente imposto la propria egemonia nel centro cittadino e nel rione delle Salicelle, puntando a gestire in prima persona estorsioni e traffico di stupefacenti.​

L’ascesa sul territorio

Il provvedimento di fermo ricostruisce le fasi dell’ascesa del gruppo Nobile: dalle prime attività di piazza fino al controllo sistematico del racket e delle piazze di spaccio, con un’azione di “militarizzazione” del territorio affidata a intimidazioni, minacce e uso delle armi. L’obiettivo, secondo la ricostruzione accusatoria, era duplice: da un lato conquistare un ruolo di autonomia rispetto alle altre articolazioni del clan Moccia, dall’altro affermarsi come interlocutore unico per imprenditori, commercianti e gestori delle piazze di spaccio di Afragola e delle zone limitrofe.​

Le alleanze non si fermano ai confini comunali: la famiglia Nobile avrebbe intrecciato rapporti operativi con gruppi camorristici attivi a Casoria, Frattamaggiore, Cardito e Caivano, costruendo una fitta rete di sponde in grado di reggere contrasti interni ed esterni. In questo scenario, le azioni di fuoco diventano lo strumento per ribadire la supremazia e marcare i confini del potere criminale, soprattutto dopo la fase di relativa “tregua” tra i diversi gruppi della zona.​

La rottura degli equilibri e le stese

Negli ultimi mesi la fragile pax armata che aveva congelato le ostilità viene meno, lasciando spazio a una sequenza di stese e sparatorie che ridisegnano la mappa del terrore ad Afragola. In poche ore, tra il 20 e il 21 ottobre, vengono esplosi decine di colpi d’arma da fuoco in diversi punti della città: dalla “Caffetteria del Parco”, dove tre persone restano ferite, fino alla facciata di un’abitazione crivellata da almeno quaranta colpi nella zona di via Diaz.​

Secondo l’impostazione accusatoria, dietro queste azioni ci sarebbe la regia del gruppo Nobile, interessato a ribadire il proprio controllo sulle aree strategiche del comune e sulle attività economiche collegate.

Le sventagliate di kalashnikov e mitragliette non avrebbero avuto solo una funzione dimostrativa, ma sarebbero state dirette a obiettivi precisi, con il rischio concreto per residenti e passanti di trovarsi in mezzo al fuoco incrociato.​

Il decreto di fermo e l’associazione mafiosa

Sul piano giuridico, il cuore del provvedimento è l’ipotesi associativa: agli indagati viene contestata la partecipazione a un’associazione di tipo mafioso ex art. 416 bis, qualificata come articolazione del clan Moccia attiva ad Afragola e nei comuni vicini.

Il vincolo associativo, secondo la DDA, si manifesta nella capacità di incutere timore con omicidi, gambizzazioni, azioni di fuoco, e nella conseguente condizione di assoggettamento e omertà che avvolge una parte consistente della cittadinanza.​

L’associazione viene ritenuta armata, con disponibilità di pistole, armi lunghe, mitra e perfino un kalashnikov, strumenti funzionali a garantire la gestione delle estorsioni, del traffico di stupefacenti e del controllo delle attività economiche lecite e illecite sul territorio.

A corollario dell’impianto associativo, il decreto elenca una serie di reati-fine: dalla detenzione e cessione di cocaina in più episodi, alla detenzione illegale di armi da guerra, fino al porto in luogo pubblico di mitragliette e fucili d’assalto utilizzati per i raid armati.​

I ruoli nella presunta “cupola” Nobile

Nel mosaico tratteggiato dagli inquirenti, Giuseppe Nobile emerge come figura apicale: capo e organizzatore, forte di una lunga esperienza criminale, avrebbe diretto le strategie del gruppo, individuato gli imprenditori da sottoporre a pizzo e curato l’assistenza legale agli affiliati in caso di arresti.

A lui sarebbe spettato anche il compito di autorizzare le azioni violente, delegando l’esecuzione a sodali di fiducia, spesso membri della stessa famiglia.​

Attorno al presunto vertice ruotano i due cugini omonimi, Antonio Nobile classe 2000 detto “Spiedino” e Antonio Nobile classe 2004 detto “Topolone”, ritenuti a loro volta capi e organizzatori dell’articolazione afragolese.

“Topolone” avrebbe avuto il controllo della cassa del clan, la gestione delle piazze di spaccio – compresi prezzi e quantità di stupefacente da distribuire – e il mantenimento degli affiliati detenuti, mentre “Spiedino” avrebbe curato i rapporti con i gruppi alleati e partecipato in prima persona agli episodi più eclatanti di violenza.​

I gregari tra droga, armi e logistica

Nel secondo cerchio dell’organizzazione si collocano le figure operative chiamate a dare concretezza alle direttive dei presunti capi. A Marco Castiello viene attribuito il ruolo di esattore e uomo di fiducia per la logistica, incaricato di recuperare i proventi della vendita di stupefacente dalle piazze controllate e di reperire autovetture e telefoni cellulari utili al gruppo.​

Alex Pollaro viene dipinto come l’uomo delle armi: custode degli arsenali clandestini, avrebbe partecipato alle azioni dimostrative, compresi i raid a colpi di arma da guerra nei quartieri caldi di Afragola. Salvatore Guerra, invece, viene indicato come rifornitore delle piazze di spaccio e parte attiva nell’organizzazione delle azioni di fuoco, fino a fungere da apripista ai veicoli utilizzati per le stese.​

La rete della droga: dagli acquisti alle piazze

Uno dei capitoli più corposi delle contestazioni riguarda il traffico di stupefacenti, con diversi episodi puntualmente datati e aggravati dalla finalità di agevolare il clan. Gli inquirenti descrivono un sistema in cui “Topolone” e i suoi uomini avrebbero gestito sia la fase dell’approvvigionamento – con acquisti di cocaina per quantitativi fino al mezzo chilo – sia quella del confezionamento in abitazioni-rifugio, da cui la droga sarebbe stata smistata alle varie piazze di spaccio.​

Le perquisizioni e i sequestri documentano, in una delle ipotesi, la detenzione di dosi di cocaina già suddivise e pronte alla cessione, custodite in un borsello e intercettate dagli agenti del Commissariato di Afragola.

A Biagio Esposito viene riconosciuto un ruolo specifico nella filiera: confezionamento e vendita al dettaglio della sostanza, in linea con la logica di una struttura piramidale che separa chi decide da chi materialmente gestisce il contatto con gli acquirenti.​

Le armi: pistole, mitra e kalashnikov

Altro asse portante dell’impianto accusatorio è l’arsenale a disposizione del gruppo, considerato un indice della pericolosità e della capacità offensiva dell’articolazione Nobile. Oltre alle pistole comuni da sparo, il decreto richiama la detenzione e l’uso di mitra, armi da guerra e persino di un kalashnikov AK‑47, impiegato in uno degli episodi più allarmanti per esplodere colpi in un contesto urbano densamente abitato.​

Le contestazioni, distribuite su più capi di imputazione, riguardano anche il porto in luogo pubblico di armi lunghe e mitragliatrici trasportate in auto o su veicoli rubati, come il furgone Fiat Doblò indicato come mezzo utilizzato per raggiungere i luoghi delle sparatorie.

A Nicola Bassolino e ad altri sodali viene contestato di avere portato in strada un’arma da guerra, mentre agli storici referenti del gruppo viene contestata la responsabilità morale e organizzativa di questi spostamenti armati.​

Le stese del 21 ottobre: la dinamica

I capi di imputazione dedicano ampio spazio alla notte del 21 ottobre, quando, in via III Traversa Diaz, un commando avrebbe fatto fuoco con almeno tre armi di calibro diverso, colpendo in sequenza telecamere, facciate di edifici e punti sensibili del quartiere

. Nella ricostruzione accusatoria, Giuseppe Nobile e Antonio “Topolone” avrebbero assunto il ruolo di mandanti e organizzatori, mentre un gruppo di fidati – tra cui Tuccillo, Zanfardino, Castiello, Guerra, Antonio “Spiedino” e Pollaro – si sarebbe diviso tra fasi preparatorie, logistica e azione esecutiva.​

Guerra, in particolare, viene indicato come colui che avrebbe fatto da “apripista” al Doblò parcheggiato e poi messo a disposizione degli esecutori materiali della sparatoria, segno di una pianificazione accurata e di una chiara divisione di ruoli. I colpi sarebbero stati esplosi sia in aria sia ad altezza uomo, contro le telecamere e contro un edificio, con la finalità – contestata ai sensi dell’art. 421 bis – di seminare panico e attentare alla sicurezza pubblica.​

Il furgone rubato e la ricettazione

Uno degli elementi di supporto all’impianto accusatorio è rappresentato dal furgone Fiat Doblò, risultato provento di furto denunciato mesi prima ai Carabinieri di Marigliano. Secondo gli inquirenti, il veicolo sarebbe stato acquistato o comunque ricevuto dagli indagati proprio in funzione dei raid armati del 21 ottobre, trasformandosi nel mezzo “fantasma” con cui raggiungere e lasciare rapidamente la scena delle stese.​

Su questo segmento, ai presunti capi e ai gregari viene contestata anche la ricettazione, aggravata dalla finalità mafiosa, in quanto il furto e la successiva disponibilità del mezzo sarebbero stati funzionali a dare copertura alle azioni armate del gruppo.

Per gli investigatori, l’uso di veicoli rubati rientra nel modus operandi consolidato delle cosche che operano nell’area nord di Napoli, abituate a muoversi con mezzi “puliti” solo all’apparenza e difficili da ricondurre ai singoli partecipi.​

L’escalation di violenza culminata nelle stese di ottobre, unita alla constatazione della irreperibilità di alcuni indagati dopo le ultime sparatorie, ha spinto la DDA di Napoli a chiedere e ottenere un decreto di fermo d’urgenza per dieci presunti affiliati al gruppo Nobile.

Il blitz eseguito tra Afragola e il parco Sant’Antonio ha portato alla cattura di capi e gregari ritenuti pronti a rispondere “colpo su colpo”, con il rischio concreto di una nuova ondata di fuoco nelle strade.​

i dieci fermati

NOBILE Antonio cl. 2004 detto “Topolone”

NOBILE Giuseppe

NOBILE Antonio cl. 2000 detto “Spiedino”

CASTIELLO Marco

POLLARO Alex

GUERRA Salvatore

ESPOSITO Biagio

BASSOLINO Nicola.

TUCCILLO Domenico

ZANFARDINO Francesco

RIPRODUZIONE RISERVATA Articolo pubblicato il 22 Novembre 2025 - 15:39 - Giuseppe Del Gaudio
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