I vertici del clan Nobile, il pentito Barra e le due vittime Vitale e Buono
Napoli - Le 180 pagine del decreto di fermo della Dda di Napoli inchiodano dieci presunti appartenenti al clan Nobile di Afragola, meglio noto come gruppo dei “Panzarottari”, accusato di essere la nuova struttura egemone nell’area nord di Napoli dopo il ridimensionamento dei vecchi clan Moccia e Pezzella.
Secondo l’Antimafia di Napoli, il gruppo avrebbe imposto la propria presenza su Afragola, Casoria, Caivano e Frattamaggiore, gestendo piazze di spaccio, racket ed “azioni di fuoco” funzionali al controllo del territorio.
Il provvedimento, eseguito da Polizia e Carabinieri tra Afragola e il comprensorio limitrofo, ipotizza per gli indagati l’associazione di tipo mafioso e il coinvolgimento in una scia di stese e agguati culminata in due omicidi, quello di Antonio Vitale a Cardito e di Pasquale Buono ad Afragola, avvenuti in appena 33 ore nel giugno 2025.
Le indagini, coordinate dalla Dda, si sono avvalse di intercettazioni, pedinamenti, analisi di sistemi di videosorveglianza e, soprattutto, delle dichiarazioni di un neopentito considerato interno ai meccanismi decisionali del gruppo.
La svolta arriva con la scelta di collaborare di Giovanni Barra, arrestato per associazione mafiosa insieme a Roberto Alfio Maugeri, ritenuto figura di raccordo con le organizzazioni operative a Caivano.
Barra, dieci giorni dopo l’arresto avvenuto a fine giugno scorso, intraprende un percorso di collaborazione con la giustizia e offre una ricostruzione puntuale dell’ascesa criminale dei Nobile, descrivendoli come un gruppo giovane, armato e capace di decidere un omicidio “anche per un motivo banale”, in un contesto di violenza diffusa.
Secondo il collaboratore, nel 2022 i “Panzarottari” avrebbero preso inizialmente ordini da Maugeri Emanuele dal carcere, per poi legarsi a Giovanni Baratto, reggente di Casoria, che mirava a consegnare loro il controllo di Afragola e a estromettere il rivale soprannominato “’o Checco”, uomo di fiducia di “’o Nennillo” Sasso.
Il progetto di Baratto, che avrebbe persino chiesto ai Nobile di uccidere “’o Checco” senza ottenere esecuzione, si inserisce in una fitta trama di alleanze e tradimenti, nella quale il gruppo di Afragola impara a muoversi autonomamente, gestendo direttamente le piazze di spaccio sotto l’ombrello criminale dell’area di Casoria.
Barra colloca l’affermazione dei Nobile in una stagione di tensioni crescenti, stese e atti intimidatori su più comuni dell’hinterland Nord. Il collaboratore racconta di un incontro al parco “Si” di Casoria, in pieno giorno, in cui Baratto si presenta con una pistola, affiancato dal suo braccio destro, da uomini vicini ai “Panzarottari” e da un giovane noto come “Topolone”, armato di Kalashnikov, pronti – secondo l’accusa – a colpire la casa di una donna legata a una piazza di spaccio.
Il commando, salito su una Lancia Y di colore prugna, sarebbe partito per “buttare a terra la casa” di una famiglia rivale, mentre Barra, che contesta la scelta di sparare in pieno giorno per il rischio di colpire bambini, abbandona il gruppo poco prima dell’azione.
Nelle sue dichiarazioni riaffiora più volte il Kalashnikov, arma simbolo delle “stese” nell’area nord, che verrà poi sequestrata a Caivano e che, nelle ricostruzioni investigative, scandisce il salto di qualità della violenza rispetto alla tradizionale pistola impiegata per gli agguati.
Dopo l’affermazione su Afragola, i Nobile consolidano rapporti stabili con altri gruppi camorristici operativi sui territori limitrofi, in particolare con le realtà criminali di Casoria, Caivano e Frattamaggiore. I cugini Nobile – Antonio classe 2000 detto “Spiedino” e Antonio classe 2004 detto “Topolone” – emergono come giovani leader in grado di tenere insieme gestione del traffico di stupefacenti, estorsioni e azioni intimidatorie armate, mettendo a disposizione uomini e mezzi nelle operazioni comuni.
Sul versante di Frattamaggiore, l’alleanza decisiva è quella con il gruppo Orefice, riconducibile storicamente al clan Pezzella di Cardito guidato da Francesco Pezzella, detto “Pan ’e ran”, figura di lungo corso oggi detenuta.
Con l’arresto di Michele Orefice, soprannominato “’o nir nir”, e dei suoi luogotenenti, il figlio Luigi prende le redini dell’organizzazione e, su indicazione del padre, cerca nuovi adepti e nuovi equilibri, saldando un asse con i Nobile proprio mentre i vecchi vertici sono in carcere e il territorio è attraversato da una serie di “stese” e regolamenti di conti.
Le indagini documentano come il nome di Barra sia ben noto ai “Panzarottari”, che reagiscono con preoccupazione alla notizia della sua collaborazione con la giustizia. In una conversazione intercettata in un’abitazione di Afragola, Antonio Nobile “Spiedino” commenta insieme ad Alex Pollaro un articolo di cronaca pubblicato su una pagina social locale, che rilancia l’avvio della collaborazione del collaboratore indicato con il soprannome “’o Scucciat”.
Nella stessa conversazione, a distanza, interviene in videochiamata anche Antonio Nobile “Topolone”, che partecipa al commento delle notizie di stampa e condivide il timore che le dichiarazioni del nuovo pentito possano trasformarsi in prove “schiaccianti” rispetto a episodi di estorsione e alle dinamiche armate dell’area.
Il quadro che emerge è quello di un gruppo che, pur giovanissimo, mostra una piena consapevolezza del peso degli elementi raccolti dagli inquirenti e del rischio concreto di un’accelerazione repressiva da parte dello Stato.
Il 10 giugno 2025, poco dopo le 10 del mattino, Antonio Vitale, 56 anni, detto “Tonino ’o puorc”, viene ucciso a colpi d’arma da fuoco mentre è alla guida della sua Nissan Micra in via Tiziano, a Cardito, alla periferia nord di Napoli.
Vitale, pregiudicato e già ritenuto vicino al gruppo Orefice, viene raggiunto da una raffica di proiettili esplosi da un commando in pieno giorno, sotto gli occhi di automobilisti e passanti, in un’azione che gli investigatori inquadrano subito in una dinamica di camorra.
La zona di Frattamaggiore, Cardito e Crispano vive in quei mesi una fase di forte instabilità dopo i blitz che hanno colpito il gruppo Orefice, articolazione del clan Pezzella, con una sequenza di “stese” contro abitazioni e obiettivi riconducibili a più fazioni.
Nelle settimane precedenti, colpi di arma da fuoco avevano raggiunto anche le case di parenti di Vitale, compresa l’abitazione dello stesso “Tonino ’o puorc”, segno di un crescendo di ritorsioni che lascia intendere agli inquirenti la presenza di una guerra interna per il controllo delle piazze di spaccio e dei canali di rifornimento.
I primi riscontri che collegano l’agguato di Cardito al gruppo di Afragola arrivano dall’analisi dei sistemi di videosorveglianza. Le immagini mostrano la Micra di Vitale percorrere via Tiziano preceduta da una Smart nera e da un’Audi Q2 bianca, che pochi minuti prima è ripresa anche in via Enrico Fermi: stessa vettura, stessa targa, stesso tragitto in prossimità del luogo dell’omicidio.
Quattro giorni dopo, durante una perquisizione nell’edificio dove abita Antonio Nobile “Topolone”, la stessa Audi SQ2 bianca, targa FL175FE, viene notata parcheggiata nel cortile condominiale e identificata come la macchina già vista sulle immagini di Cardito.
Le telecamere mostrano inoltre che, subito dopo l’omicidio, Smart e Audi si fermano a pochi metri dal luogo dell’agguato: dall’auto compatta scende un uomo, dall’Audi una donna vestita di nero, che si avvicinano e parlano tra loro con naturalezza, segno di una conoscenza pregressa.
La donna ripresa alla guida della Smart viene identificata come una persona di famiglia di Antonio Nobile “Topolone” e residente nello stesso stabile di Afragola dove è stato trovato il suv Audi. Per la Dda, l’intreccio tra il legame familiare, la presenza delle vetture sulla scena e il ritrovamento dell’auto nel cortile di casa Nobile rafforza il sospetto di un coinvolgimento almeno logistico del gruppo dei “Panzarottari” nell’agguato a Vitale.
Le indagini, a quel punto, si concentrano in maniera sistematica sulla famiglia Nobile, ritenuto perno di una compagine armata che può contare su un ventaglio di fiancheggiatori, prestanome e soggetti pronti a mettere mezzi e coperture al servizio delle azioni di fuoco. È questo filone a incrociarsi, nelle carte dell’Antimafia, con l’altro grande evento omicidiario che scuote l’area appena un giorno dopo: l’uccisione di Pasquale Buono nel cuore di Afragola.
L’11 giugno 2025, intorno alle 18.30, Afragola viene attraversata da un nuovo agguato, questa volta sul centralissimo corso Italia. Due uomini in sella a uno scooter nero, entrambi col volto coperto da casco integrale, si fermano davanti al negozio di intimo della famiglia Buono: il passeggero scende, estrae la pistola e fa fuoco ripetutamente verso Pasquale Buono, che crolla a terra tra gli scaffali e viene finito con altri colpi esplosi a distanza ravvicinata.
L’azione, rapida e spietata, è tipica degli agguati di camorra: colpi in pieno giorno, in un esercizio commerciale aperto, senza curarsi dei testimoni, con i killer che risalgono sullo scooter e si dileguano tra il traffico.
Buono, formalmente incensurato ma indicato dagli investigatori come vicino a persone legate allo storico clan Moccia, viene ucciso davanti al padre, in un contesto di tensioni altissime per la ridefinizione degli equilibri criminali su Afragola e nelle zone confinanti. le immagini dell'agguato vengono poi diffuse dagli investigatori il giorno dopo per dare un impulso alle indagini.
Anche in questo caso è la videosorveglianza a fornire il primo appiglio: le telecamere comunali permettono di leggere la targa del motociclo SH nero utilizzato dal commando, un mezzo intestato a una ditta di noleggio di Afragola che, a sua volta, lo aveva subnoleggiato a una piccola agenzia locale.
Il titolare dell’agenzia riferisce che lo scooter era stato noleggiato formalmente a un soggetto, ma che, dopo la prima settimana, a presentarsi per pagare erano stati “sempre ragazzi diversi”, tutti gravitanti nella zona del parco Sant’Antonio, roccaforte dei Nobile.
Quando gli investigatori mostrano al noleggiatore un album fotografico, l’uomo riconosce tra coloro che avevano usato il ciclomotore i nomi di Marco Castiello, Alex Pollaro, Biagio Esposito (sottoposti al fermo l'altro giorno) e altri tre che non risultano indagati ma tutti ritenuti vicini o interni al gruppo dei “Panzarottari”.
In particolare Castiello viene riconosciuto come il soggetto ripreso pochi minuti prima dell’agguato in sella dello scooter, mentre uno dei tre al momento non indagati, come colui che accompagna la riconsegna del mezzo davanti casa del noleggiatore, immediatamente dopo l’omicidio.
Per gli inquirenti, la circostanza che lo stesso gruppo di giovani dell’area di Afragola abbia utilizzato lo scooter protagonista dell’omicidio Buono nei giorni immediatamente precedenti, sommata al quadro già emerso per l’agguato Vitale, indica un possibile denominatore comune dietro i due delitti.
Entrambi gli omicidi, per modalità e contesto, vengono letti come episodi di una più ampia guerra per il controllo del narcotraffico e delle estorsioni nell’area nord di Napoli, in un momento segnato dal “vuoto di potere” provocato dai maxi-blitz contro i gruppi storici.
Il decreto di fermo fotografa così la metamorfosi dell’area: dai clan tradizionali a un mosaico di bande giovani, fluide e feroci, capaci di allearsi di volta in volta con i resti delle vecchie organizzazioni e di utilizzare armi da guerra pur di presidiare piazze di spaccio e influenze economiche.
Nel racconto dei collaboratori e nelle intercettazioni, i “Panzarottari” dei Nobile emergono come il baricentro di questo nuovo ordine criminale, protagonisti – secondo l’accusa – non solo delle “stese” che hanno insanguinato Afragola, ma anche dei due omicidi che hanno acceso definitivamente i riflettori dell’Antimafia su di loro.
(nella foto il luogo dell'omicidio di Pasquale Buono e nei riquadri da sinistra Giuseppe Nobile, Antonio Nobile "topolone", Antonio Nobile "Spiedino", il pentito Giovanni Barra e le due vittime Antonio Vitale e Pasquale Buono)