Cronaca Giudiziaria

Camorra, oltre due secoli di carcere al clan del nuovo boss vesuviano Dario Federico. Tutte le condanne

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Una rete criminale giovane ma radicata, capace di inserirsi negli spazi lasciati dal declino dei vecchi clan dell’area vesuviana. È l’immagine che emerge dalla sentenza del Gup Rossi del Tribunale di Salerno, che ha definito il primo grado del processo ai presunti membri del gruppo camorristico autodefinitosi “Famiglia”, attivo tra Scafati, Boscoreale e Castellammare di Stabia, con a capo Dario Federico originario della periferia di Pompei.

Quattro anni di attività, un’espansione criminale rapida e una rete costruita su vincoli di sangue e fedeltà. Il giudice per l’udienza preliminare Rossi ha pronunciato le condanne in rito abbreviato, infliggendo complessivamente quasi due secoli di reclusione, rispetto ai 323 anni richiesti dal pm Rocco Alfano per i 23 imputati.

Il gruppo, secondo la ricostruzione degli inquirenti, avrebbe esercitato il controllo del territorio attraverso un sistema di estorsioni, traffico di sostanze stupefacenti e detenzione di armi, con modalità tipiche delle organizzazioni di stampo mafioso. Un clan “a conduzione familiare”, come lo definisce l’accusa, non solo per i legami parentali tra alcuni imputati, ma per la struttura piramidale che vedeva al vertice il 49enne Dario Federico, originario di Boscoreale e già condannato nel 2007 come promotore di associazione mafiosa.

Federico, dopo un periodo di latitanza, sarebbe riuscito – secondo la DDA – a insediarsi a Scafati approfittando del vuoto di potere lasciato dai gruppi storici Loreto/Ridosso e Matrone/Buonocore. Al suo fianco, il 47enne scafatese Salvatore Di Paolo, figura di riferimento nelle dinamiche operative. Il gruppo avrebbe inoltre potuto contare sull’approvvigionamento di armi da parte di Domenico Tamarisco, coinvolto nell’inchiesta ma condannato solo per il reato di detenzione di armamento.

L’indagine – culminata in un blitz di carabinieri e Guardia di Finanza nel febbraio 2024 – ha ricostruito episodi di estorsione, tra cui uno ai danni di un imprenditore attivo nella zona di Marina di Stabia. Il controllo del territorio sarebbe stato così saldo da consentire al clan di intervenire come “arbitro” nei conflitti interni ad altri gruppi criminali, regolando confini e punendo sconfinamenti.

L’inchiesta ha ricostruito un sistema basato su estorsioni, spaccio di sostanze stupefacenti, accaparramento delle piazze di vendita, controllo del territorio e disponibilità di armi da fuoco, alcune delle quali fornite – secondo la Procura – dal boss torrese Domenico “Tamarisco” Nardiello.

La DDA sottolinea come il gruppo fosse arrivato a giocare un ruolo di “regolatore” tra i diversi cartelli criminali operanti nell’area, capace di dirimere conflitti e stabilire confini tra zone di influenza. Tra gli episodi contestati c’è anche un’estorsione ai danni di un imprenditore legato al porto turistico di Marina di Stabia.

In totale, la richiesta dell’accusa ammontava a 323 anni di reclusione per 23 imputati. La sentenza pronunciata in rito abbreviato ha invece portato a quasi due secoli di condanne complessive, anche in virtù del fatto che per molti non è stata riconosciuta l’aggravante dell’associazione mafiosa.

Non per tutti gli imputati è stata riconosciuta l’aggravante mafiosa, determinando pene inferiori rispetto alle richieste della Procura

Elenco delle condanne

Dario Federico – 20 anni di reclusione
Salvatore Di Paolo – 20 anni di reclusione
Renato Sicignano – 20 anni di reclusione
Raffaele Forte – 20 anni di reclusione
Immacolata Orlando – 18 anni e 4 mesi
Corrado Grimaudo – 13 anni (in continuazione)
Vincenzo Orlando – 11 anni
Giuseppe Di Dato (collaboratore di giustizia) – 8 anni
Raffaele Nappo – 6 anni e 8 mesi
Daniel Grimaudo – 5 anni
Domenico “Tamarisco” Nardiello – 2 anni e 8 mesi (a fronte della richiesta di 8 anni)
Gianluca Tortora – 2 anni
Altri imputati – condanne poco superiori a 24 mesi

RIPRODUZIONE RISERVATA Articolo pubblicato il 8 Novembre 2025 - 13:15 - Rosaria Federico
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Rosaria Federico