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Il caffè del clan: la guerra silenziosa tra i D’Alessandro per il controllo dei bar di Castellammare

Il caffè del clan: la guerra silenziosa dei D’Alessandro per il controllo dei bar di Castellammare Dietro il profumo del caffè, un affare di famiglia e di camorra.
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Non solo droga, estorsioni o appalti. Il clan D’Alessandro, padrone storico di Castellammare di Stabia, aveva fiutato anche il profumo degli affari “puliti” — o almeno in apparenza. Caffè, zucchero, bevande: merci comuni, ma in grado di generare introiti e consenso sul territorio, quando a venderle o imporle sono uomini di camorra.

È quanto emerge dall’inchiesta bis della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, che ha riportato alla luce i nuovi affari della cosca di Scanzano. Nel mirino degli investigatori c’è Pasquale Esposito, 50 anni, genero di Luigi D’Alessandro, detto “Gigginiello”, anziano boss del clan tornato in libertà dopo quasi trent’anni di carcere, è anche fratello del defunto padrino Michele D’Alessandro.

Secondo gli inquirenti, era proprio Esposito a gestire la distribuzione “imposta” di caffè e zucchero ai bar della città, approfittando del peso della famiglia.

L’indagine bis e i nuovi arresti

Il suo nome compare nel filone d’inchiesta che ha portato all’arresto di Daniele Amendola, 45 anni, titolare della società di ambulanze New Life, e di Luigi Staiano, 37 anni, figlio di Maria D’Alessandro, figlia di Gigginiello e cugina dei reggenti del clan. Proprio Staiano – già noto alle cronache per aver imposto il servizio “beverage” all’interno dello stadio Romeo Menti – è indicato come il braccio operativo dell’affare del caffè.

Un affare che, secondo la ricostruzione degli investigatori, serviva a ribadire la presenza del clan anche nei circuiti economici più quotidiani: chi voleva vendere o comprare il caffè a Castellammare doveva passare per loro.

Le due fazioni e la guerra del caffè

La scintilla scoppia nell’estate del 2021. Le microspie installate dai carabinieri documentano una vera e propria diatriba familiare tra due rami dei D’Alessandro: da un lato Giovanni D’Alessandro, figlio di Vincenzo detto “Enzuccio”, e Giuseppe Oscurato, dall’altro Pasquale Esposito e il figliastro Luigi Staiano.

Il motivo del contendere? Proprio la gestione della distribuzione del caffè.
Un mercato apparentemente innocuo, ma che nel linguaggio della camorra diventa sinonimo di territorio, introiti e potere.

I primi – Giovanni e Oscurato – si limitavano a vendere il prodotto. I secondi, Esposito e Staiano, lo imponevano con il nome del clan. Un meccanismo rodato: il commerciante non sceglieva, “il caffè te lo porto io, e basta”.

La conversazione al pranzo di famiglia

Il 3 giugno 2021, le cimici dei carabinieri intercettano una lunga conversazione a casa dei, suoceri di Giuseppe Oscurato. È proprio Oscurato a raccontare, con tono risentito, ciò che accade nei bar del centro stabiese:

“Andai al bar ...omissis.., quello in mezzo alla Villa… loro già tengono il caffè ..., ma Pasquale gliel’ha voluto portare lo stesso. Glielo ha buttato a terra, senza dire niente. Quello il caffè lo impone, non lo propone…”.

Oscurato spiega che lui e Giovanni D’Alessandro stavano cercando di vendere il loro caffè “onestamente”, ma ogni volta che tentavano di proporlo, trovavano la strada sbarrata dagli uomini di Pasquale Esposito.

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Il dialogo diventa un piccolo spaccato di potere e paura: il commerciante che non accetta la fornitura rischia di perdere la licenza o peggio; chi la accetta deve farlo in silenzio, senza “far vedere niente a nessuno”.

Il bar e la paura dei commercianti

Il nome del barista torna più volte nelle intercettazioni: è il, titolare di un noto esercizio di Corso Garibaldi, rappresentante di un noto marchio di caffè da cinquant’anni.
A lui, racconta Oscurato, Pasquale Esposito avrebbe imposto il nuovo caffè “di famiglia”, scatenando la tensione:

“Mi disse: ‘Qua se vogliono entrare con un altro caffè devono darmi centomila euro per liquidare .-..omissis... e i contratti’… E io gli dissi che aveva ragione. Ma poi il figlio mi rivelò che era già venuto Pasquale a proporglielo, e che glielo aveva portato pure per un periodo”.

Da lì in avanti, il clima si fa incandescente.Esposito non accetta di essere “rifiutato”: pochi giorni dopo, racconta sempre Oscurato, entra nel bar e scarica il caffè a terra, di forza.
Un gesto che sa di intimidazione, di affronto, ma anche di messaggio al rivale Giovanni D’Alessandro: “questo territorio è mio”.

Minacce e fughe di famiglia

Dopo quell’episodio la frattura diventa insanabile. Dalle successive intercettazioni emerge che Vincenzo D’Alessandro, detto “Enzuccio”, padre di Giovanni, e la moglie, si dicono pronti a ricorrere alla violenza contro Esposito e Staiano.

Una vera e propria guerra interna, come nei vecchi tempi del clan di Scanzano, solo che ora il bottino non è un carico di droga o un appalto, ma il monopolio del caffè.

Le stesse microspie dimostrano che Esposito, negli stessi mesi, era impegnato quotidianamente nella distribuzione “a tappeto” del prodotto: bar, tabacchi, negozi, perfino uffici.Un lavoro che, secondo i carabinieri, rappresentava una rete estorsiva mascherata da attività commerciale.

Poi, ad agosto 2021, il colpo di scena: Pasquale Esposito lascia Castellammare e si trasferisce a Nettuno, nel Lazio.Ma anche quella, spiegano gli inquirenti, non è una scelta volontaria.

“Fu un allontanamento deciso dal suo stesso gruppo – scrivono gli investigatori – per evitare che la guerra interna degenerasse e per salvaguardare i rapporti con il ramo di Vincenzo D’Alessandro”.

Un affare di caffè e sangue

Dietro tazzine e sacchetti di zucchero, c’era molto più che un commercio.
C’era un sistema di potere che trasformava ogni bar in una vetrina del clan, ogni fornitura in un segno di appartenenza, ogni caffè in una tassa imposta col sorriso.

Il “caffè del clan”, come lo chiamano oggi gli investigatori, era la nuova frontiera del racket, una forma aggiornata di controllo del territorio.

 

RIPRODUZIONE RISERVATA Articolo pubblicato il 13 Novembre 2025 - 10:23 - Giuseppe Del Gaudio

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