Se n’è andato a Milano, a 94 anni, Giorgio Forattini — romano, classe 1931, il più grande caricaturista politico che l’italia abbia conosciuto. Con la sua matita ha raccontato cinquant’anni di storia del Paese, dal referendum sul divorzio del 1974 fino a Mani Pulite, passando per terrorismo, stragi, e quella lunga stagione di vizi e ipocrisie del potere. Quattordicimila vignette che hanno ritratto l’Italia come uno specchio deformante, ma lucidissimo.
La sua prima vignetta nacque dopo la vittoria del “No” al referendum sul divorzio. Disegnò Amintore Fanfani come un tappo di bottiglia che saltava via: un’idea suggerita da un tipografo di Paese Sera, dove Forattini lavorava come grafico. Da lì non si fermò più. “Il principio della libertà e del divertimento”, diceva, era la sua bussola. E non mancavano le conseguenze: querele, polemiche, rotture clamorose. Come quella con La Repubblica, dopo la querela di Massimo D’Alema sull’affare Mitrokhin: tre miliardi di lire chiesti solo a lui, non al giornale. “Fu un precedente pericolosissimo contro la libertà di satira”, ricordava.
Eppure, anche nella frattura, c’era la misura di un artista libero.Potrebbe interessarti
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Eppure la sua ironia non era solo graffio. C’era una vena malinconica che riaffiorava in certe immagini: la sedia a rotelle in riva al mare per Leon Klinghoffer, il turista ucciso durante il sequestro dell’Achille Lauro; o la Sicilia trasformata nella testa di un coccodrillo in lacrime, dopo la morte di Giovanni Falcone. “La mia più grande soddisfazione — diceva — è non aver mai piegato la testa davanti agli attacchi.”
La sua carriera attraversò stagioni di fuoco. Seguì da “notista politico” i decenni più convulsi, raccontandoli con una libertà che pochi hanno avuto. Quando gli chiesero perché Andreotti non lo avesse mai querelato, il Divo Giulio rispose: “Che posso dire di Forattini? È lui che mi ha inventato.” Una battuta che riassume il senso di un’epoca: i politici di allora temevano il ridicolo più della sconfitta.
Forattini non ammetteva errori, se non quello — a volte riconosciuto — della vignetta sul suicidio di Raul Gardini. Ma restò coerente fino alla fine. Dal debutto a Panorama e Paese Sera fino agli anni alla Stampa, ha difeso la sua indipendenza come un bene sacro. Oggi se ne va un artista che non voleva piacere a tutti, ma che a tutti ha insegnato quanto possa essere spietata — e necessaria — la libertà di ridere.





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