Un’altra tragedia dietro le sbarre. Nella notte tra sabato 19 e domenica 20 ottobre, Joseph Luki, cittadino nigeriano di circa quarant’anni, è stato trovato senza vita all’interno della sua cella nel carcere di Ariano Irpino, in provincia di Avellino. Secondo una prima ricostruzione, l’uomo si sarebbe tolto la vita.
A nulla sono valsi i tentativi di soccorso da parte del personale penitenziario. Luki lascia una moglie e due figli piccoli.
La Procura della Repubblica di Benevento, informata dell’accaduto, ha disposto l’autopsia per chiarire le cause della morte. La salma è stata trasferita all’ospedale “San Pio” di Benevento, dove sarà eseguito l’esame medico-legale nei prossimi giorni.
Con il caso di Ariano Irpino, salgono a sessantotto i suicidi registrati quest’anno nelle carceri italiane: un dato drammatico, che conferma un trend in costante crescita e che, solo in Campania, conta già sei vittime. Dall’inizio del 2025, infatti, due detenuti si sono tolti la vita nel carcere di Poggioreale, due a Secondigliano, uno a Benevento e uno a Santa Maria Capua Vetere.
«L’emergenza, l’epidemia dei suicidi sembra non arrestarsi.Potrebbe interessarti
Ciambriello ha richiamato le parole del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che in più occasioni ha sollecitato il rispetto della dignità di ogni persona, anche di chi è detenuto: «L’alto indice di suicidi è la prova di condizioni inammissibili, tra cui il sovraffollamento e la carenza di personale. È una realtà che non possiamo più ignorare».
Secondo il garante, le motivazioni che spingono molti detenuti al gesto estremo sono diverse – isolamento, disagio psicologico, mancanza di prospettive, abbandono familiare – ma il risultato è uno solo: “nelle carceri si continua a morire”.
A questi numeri, denuncia Ciambriello, vanno aggiunti anche i 36 decessi per cause ancora da accertare avvenuti dall’inizio dell’anno: «Un interminabile supplizio che interroga le coscienze».
Infine, un appello alla politica: «Serve un intervento strutturale sul sistema penitenziario. Non bastano annunci sulla costruzione di nuove carceri o sull’aumento dei posti disponibili. Occorre potenziare il personale educativo, gli psicologi, i mediatori linguistici e, soprattutto, ampliare le misure alternative alla detenzione. Solo così potremo spezzare questa catena di morte e restituire dignità a un sistema che oggi è al collasso».
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