Con l'arrivo delle basse temperature, l'accensione dei riscaldamenti diventa una necessità, ma non un'azione priva di regole. Se al Nord i termosifoni sono già in funzione da settimane, il Centro-Sud si prepara al via libera, generalmente fissato per metà novembre, anche se alcune aree dovranno attendere ulteriormente.
La gestione degli impianti termici, sia autonomi che centralizzati, è infatti disciplinata da una normativa nazionale che stabilisce periodi di accensione, limiti orari giornalieri e temperature massime consentite, con l'obiettivo di contenere i consumi energetici.
L'Italia è suddivisa in sei diverse fasce climatiche, definite in base ai "Gradi Giorno" (GG) di ogni comune, che determinano il calendario e la durata di funzionamento degli impianti.
La mappa delle sei zone climatiche
L'elenco dei comuni e delle province definisce un quadro preciso dei diversi regimi di accensione sul territorio nazionale:
Zona F (Nessuna limitazione): Rientrano i comuni più freddi (GG superiori a 3.000). Non esistono limitazioni né di orario né di periodo. Include principalmente le province di Cuneo, Belluno e Trento.
Zona E (14 ore/giorno): Comprende comuni con GG tra 2.101 e 3.000. L'accensione è consentita dal 15 ottobre 2024 al 15 aprile 2025, per un massimo di 14 ore giornaliere. Vi rientrano molte aree del Nord e dell'Appennino, tra cui le province di: Alessandria, Aosta, Bergamo, Brescia, Como, Bolzano, Modena, Parma, Padova, Reggio Emilia, Rimini, Trieste, Gorizia, Piacenza, Ravenna, Venezia, Udine, Verona, Perugia, Rieti, Frosinone, Campobasso, L’Aquila e Potenza.
Zona D (12 ore/giorno): Include province con GG tra 1.401 e 2.100. Il periodo va dall’1 novembre 2024 al 15 aprile 2025, per un massimo di 12 ore al giorno. Le province principali sono: Roma, Ancona, Genova, Firenze, Pescara, La Spezia, Livorno, Grosseto, Lucca, Macerata, Pisa, Pesaro, Viterbo, Avellino, Siena, Chieti, Foggia, Matera, Teramo e Vibo Valentia.
Zona C (10 ore/giorno): Caratterizzata da un clima più mite (GG tra 901 e 1.400). I riscaldamenti possono essere accesi dal 15 novembre 2024 al 31 marzo 2025, per un massimo di 10 ore giornaliere. Include, tra le altre, le province di: Napoli, Latina, Caserta, Salerno, Bari, Brindisi, Benevento, Catanzaro, Cagliari, Lecce, Ragusa, Cosenza e Taranto.
Zona B (8 ore/giorno): Fascia climatica calda (GG tra 600 e 900). L'accensione è permessa dall’1 dicembre 2024 al 31 marzo 2025, per 8 ore al giorno. Rientrano province come: Palermo, Siracusa, Trapani, Reggio Calabria, Agrigento, Messina e Catania.
Zona A (6 ore/giorno): Include le aree più calde d'Italia (GG inferiori a 600). Gli impianti possono funzionare solo dall’1 dicembre 2024 al 15 marzo 2025, per 6 ore al giorno. Ne fanno parte esclusivamente i comuni di Lampedusa, Linosa e Porto Empedocle.
È importante sottolineare che la classificazione climatica non è omogenea: comuni confinanti possono essere inseriti in fasce diverse.Potrebbe interessarti
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I limiti di temperatura e le deroghe
Oltre agli orari, la legge impone limiti precisi anche per le temperature interne. Il D.P.R. 74/2013 stabilisce che la media negli ambienti non debba superare:
18°C (+ 2°C di tolleranza) per edifici adibiti ad attività industriali o artigianali.
20°C (+ 2°C di tolleranza) per tutti gli altri edifici, incluse le abitazioni.
Sebbene la normativa principale indichi i 20°C (con tolleranza fino a 22°C), atti successivi e regolamenti locali hanno spesso abbassato il tetto a 19°C (+ 2°C di tolleranza), fissando di fatto il limite massimo percepito a 21°C in molte case.
Esistono tuttavia delle deroghe. I limiti di orario e temperatura non si applicano a strutture che necessitano di un comfort termico costante per ragioni sanitarie e assistenziali. Le esenzioni riguardano:
Ospedali, cliniche, case di cura e strutture sanitarie.
Case di riposo, RSA e strutture per anziani o minori.
Strutture protette per assistenza sociale.
Scuole materne e asili nido.
Sanzioni fino a 3.000 euro
Ignorare le regole su date, orari e temperature massime può costare caro. I cittadini che non rispettano la normativa, qualora sottoposti a controlli, rischiano sanzioni amministrative pesanti, che variano da un minimo di 500 a un massimo di 3.000 euro. A queste possono inoltre sommarsi ulteriori penali previste dai regolamenti comunali o condominiali.





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