Napoli -In arrivo gli avvisi di garanzia — atto dovuto per consentire l’autopsia — nell’inchiesta sulla morte di Olena, la 39enne deceduta dopo essere stata sedata e legata a una barella nel pronto soccorso dell’Ospedale del Mare di Napoli, nel quartiere Ponticelli.
Una vicenda che ha scosso l’opinione pubblica, sollevando interrogativi inquietanti sulle condizioni disumane in cui spesso si trovano i pazienti delle strutture sanitarie campane.
Ma prima di raccontare la notte della vergogna val la pena soffermarsi sulla vergogna quotidiana: ovvero quello che accade ogni giorno nel pronto soccorso dell'ospedale di Ponticelli dove si registrano quasi duemila accessi al giorno.
Ma quello che i vertici dell'ospedale non dicono e non mostrano sono le condizioni in cui si trovano i pazienti che hanno la sfortuna di rivolgersi al loro pronto soccorso dove c'è una promiscuità e una approssimazione organizzativa da terzo mondo.
Solo chi ci è stato all'interno può spiegarlo dopo averlo vissuto. Pazienti di ogni età uno accanto all'altro e con qualsiasi tipo di patologia. Lasciati anche giorni sulle sedie (perchè non ci sono le barelle disponibili per tutti) in attesa di decisioni mediche e di posti letto da liberare. Questa è la vergogna del pronto soccorso dell'ospedale del Mare che nessuno fa vedere e che nessuno racconta.
La notte della vergogna
È la sera del 12 settembre. Olena, residente in via Foria, moglie e madre, soffriva da anni di crisi epilettiche. Quel giorno accusa un malore: vertigini, perdita di equilibrio, un senso di confusione crescente. La famiglia decide di accompagnarla al pronto soccorso dell’Ospedale del Mare.
L’attesa è lunga, caotica. I corridoi del presidio di Ponticelli sono affollati come ogni giorno: oltre mille accessi quotidiani, barelle accatastate una accanto all’altra, pazienti in attesa per ore, talvolta per giorni, persino seduti su sedie di fortuna.
Olena viene presa in carico dal personale sanitario, ma qualcosa va storto. Secondo la ricostruzione, la donna sarebbe stata sedata e poi immobilizzata con delle fasce di contenimento, perché ritenuta "agitata" e "fastidiosa" per gli altri pazienti. Così si legge nella cartella clinica, oggi al vaglio degli inquirenti.
Trascorre la notte legata a quella barella, tra luci al neon e un continuo via vai di sirene e voci.Potrebbe interessarti
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Le indagini della Procura di Napoli
Il fascicolo aperto dalla Procura di Napoli punta a chiarire ogni dettaglio. L’autopsia, disposta dal pm di turno, dovrà accertare le cause della morte e le eventuali responsabilità del personale medico e infermieristico in servizio quella notte.
La famiglia, assistita dall’avvocato Di Pietro, ha presentato una denuncia: "Olena non era alcolizzata, non aveva bevuto nulla. Soffriva di epilessia e chiedeva solo aiuto. Ci avevano detto che la situazione era sotto controllo, poi ci hanno comunicato che era morta", ha dichiarato il legale.
Dall’altra parte, alcune fonti interne all’ospedale parlano di una paziente «etilista», forse in preda a delirium tremens, quindi considerata pericolosa per sé e per gli altri. Ma gli esami tossicologici — sostiene la difesa — avrebbero escluso qualsiasi traccia di alcol nel sangue.
Resta da capire se la somministrazione del sedativo sia avvenuta secondo protocollo, e se la dose utilizzata potesse aver provocato il collasso cardiaco. Gli inquirenti hanno disposto il sequestro della cartella clinica e acquisito le prime testimonianze del personale sanitario.
La giustificazione dei sanitari e la realtà del pronto soccorso
Dal presidio di Ponticelli filtra una giustificazione: «La procedura di contenimento è doverosa nei casi in cui il paziente può essere pericoloso». Ma la verità, raccontano i frequentatori abituali del pronto soccorso, è un’altra.
Dietro quella formula burocratica si nasconde il caos quotidiano di una struttura allo stremo, dove manca il personale, i turni sono infiniti e l’organizzazione è ridotta al minimo indispensabile.
Lo sfascio del sistema sanitario campano
La morte di Olena non è solo una tragedia individuale. È il sintomo di una malattia strutturale, quella della sanità campana.
Reparti sotto organico, pronto soccorso ingestibili, tempi di attesa infiniti, medici costretti a scegliere ogni giorno chi curare prima.
L’Ospedale del Mare, inaugurato come simbolo della rinascita della sanità napoletana, è diventato il paradigma del fallimento: una “eccellenza” solo sulla carta, incapace di garantire dignità e sicurezza ai pazienti.
E mentre la magistratura indaga su questa morte assurda, resta l’immagine più dura da cancellare: quella di una donna di 39 anni, legata a una barella e lasciata morire nel silenzio, tra la disperazione dei familiari e l’indifferenza di un sistema ormai al collasso.
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