Nell’immagine, un riferimento ai fatti narrati.
Nel cuore pulsante del centro storico di Napoli, dietro facciate secolari e vicoli ombrosi, la Cappella Sansevero custodisce un enigma scultoreo che cattura da secoli lo sguardo dell’ammirazione: il Cristo Velato. L’opera è molto più di una semplice scultura: rappresenta l’incontro tra genialità artistica, impegno tecnico e mito. Il velo marmoreo, che sembra aderire alla carne con delicatezza estrema, ha alimentato curiosità, leggende e studi. Chi visita oggi quel luogo non vede solo marmo, ma un racconto sospeso tra fede, alchimia, simbolismo e desiderio di immortalità.
In questo contesto, la Cappella Sansevero non è un semplice contenitore: è essa stessa un progetto organico, una sorta di tempio iniziatico ideato dal principe Raimondo di Sangro, che volle che ogni opera dialogasse con un sistema simbolico complesso. Per comprendere appieno il mistero del Cristo Velato, occorre dunque immergersi nelle origini e nei meandri storici della Cappella, dove realtà e leggenda si fondono.
La storia della Cappella Sansevero affonda le sue radici tra miracolo popolare e devozione familiare. Secondo una narrazione tramandata fin dal Seicento, intorno al 1590 un uomo destinato al carcere, ma dichiaratosi innocente, transitando di fronte al palazzo dei Di Sangro avrebbe assistito al crollo di un muro di cinta, dietro al quale apparve un’immagine della Madonna. Convinto di essere stato miracolosamente salvato, promise in cambio una lampada d’argento se fosse stato riconosciuto innocente. Quell’episodio miracoloso fu l’embrione di un culto locale che portò alla costruzione di una “picciola cappella” dedicata a Santa Maria della Pietà (detta “Pietatella”) proprio nel luogo dell’apparizione.
Negli anni successivi, Alessandro di Sangro, patriarca di Alessandria, ampliò il piccolo sacello. Nel 1613, pose la cappella sotto la protezione della Vergine e la destinò a mausoleo della famiglia, trasformando la costruzione originaria in una struttura più solenne.
Alcuni racconti più audaci suggeriscono che la Cappella fosse costruita su un tempio pagano dedicato alla dea Iside, rimarcando l’idea di un luogo di conoscenza esoterica già prima dei Sangro. Sebbene non vi siano conferme archeologiche certe, queste suggestioni hanno contribuito nel tempo allo sviluppo del mito attorno all’edificio.
Il cuore del complesso che oggi chiamiamo Cappella Sansevero è il risultato della grande trasformazione realizzata dal settimo principe di Sansevero, Raimondo di Sangro (1710-1771). Egli, erede di antiche tradizioni familiari e animato da interessi culturali, scientifici ed esoterici, decise di fare della cappella un “tempio vivente” dell’arte e del simbolo.
A partire dagli anni Quaranta del Settecento, Raimondo promosse un'opera complessiva di restyling: non cambiò le linee architettoniche fondamentali dell’edificio secentesco (una navata longitudinale con archi e volta a botte), ma vi aggiunse cornicioni, elementi illusionistici, decorazioni policrome e opere d’arte di grande levatura.
Nel progetto iconografico, ogni scultura, ogni ornamento, ogni dipinto doveva inserire un tassello in un disegno unitario. Le statue delle Virtù (come la Pudicizia di Corradini o il Disinganno di Queirolo), i mausolei, gli elementi decorativi e le macchine sotterranee furono concepiti per dialogare tra loro e con il visitatore, come in un percorso simbolico.
È importante sottolineare che Raimondo non fu un committente distaccato: curò di persona molte fasi, selezionò materiali, supervisione artisti e mise in atto esperimenti e invenzioni, sia tecniche che simboliche.
La Cappella Sansevero si colloca in Via Francesco de Sanctis, nelle vicinanze della prestigiosa chiesa di San Domenico Maggiore nel centro storico di Napoli. Essa non era prevista come semplice oratorio di devozione, ma come mausoleo elegante per la famiglia di Sangro: molte sepolture dei componenti del casato vi furono poste, e la tomba di Raimondo di Sangro fu eretta quando era ancora in vita (1759) da Francesco Maria Russo.
Nel corso degli anni, la Cappella assunse una doppia valenza: da un lato luogo di memoria e lignaggio, dall’altro spazio simbolico e iniziatico. Accanto alle opere visibili ai visitatori, Raimondo ideò una serie di spazi sotterranei (come la cavea e i passaggi segreti) che alimentano l’idea di percorso iniziatico nascosto, dove la conoscenza e il mistero si incontrano.
Nel corso del tempo, la Cappella ha cessato la sua funzione strettamente religiosa (è stata sconsacrata), ma è diventata un museo carico di simbologie, dove i visitatori si confrontano con simboli massonici, alchemici e immagini che rimandano al mondo esoterico.
Il Cristo Velato, capolavoro di Giuseppe Sanmartino realizzato nel 1753, è una scultura marmorea a grandezza naturale che raffigura il Cristo morto, sdraiato su un materasso con il capo inclinato, avvolto da un sudario che aderisce perfettamente alle sue forme.
L’incarico originariamente fu attribuito ad Antonio Corradini, già autore della “Pudicizia”, ma Corradini morì prima di completare l’opera, lasciando un bozzetto in terracotta. Raimondo di Sangro si rivolse allora a Sanmartino, il quale realizzò il Cristo Velato “coperto da un velo marmoreo” dal medesimo blocco del corpo.
Ciò che stupisce ancor oggi è la resa illusionistica del sudario: un velo che sembra quasi reale, leggero, trasparente, capace di suggerire la pelle, i muscoli, le vene. Questa abilità tecnica fu così straordinaria da generare fin dall’Ottocento racconti e leggende su possibili processi alchemici applicati al marmo. L’incredibile tecnica stupisce i visitatori che ammirano l’opera, come successo al cantante degli U2 Bono Vox
.Alcuni passaggi documentali del principe stesso parlano del velo come “realizzato dallo stesso blocco della statua”, contribuendo a ingigantire il mito secondo cui Raimondo di Sangro avrebbe trasformato un velo reale in marmo tramite una sostanza chimica o alchemica.
La fama del Cristo Velato non è dovuta soltanto alla sua perfezione formale, ma anche al legame con un contesto simbolico e leggendario. Il mistero del velo, il ruolo del principe di Sangro e le scoperte sotterranee della Cappella alimentano da sempre suggestioni intriganti.
Si narra, ad esempio, che Raimondo abbia fatto assumere ai suoi operai particolari polveri o liquidi capaci di trasformare materiali organici in strutture cristallizzate. Alcuni racconti addirittura affermano che egli accecò Sanmartino per impedirgli di riprodurre altrove quel miracolo artistico.
Un altro elemento leggendario della Cappella riguarda le macchine anatomiche: due corpi scarnificati che mostrano il sistema vascolare con una precisione terribile. Alcune versioni popolari insinuano che il principe avesse “solidificato” il sangue vero dei modelli umani; studi moderni invece ne spiegano la realizzazione attraverso cera, metalli e trattamenti chimici controllati.
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