Ada, la napoletana malata di Sla chiede il ricorso al suicidio assistito
Napoli - Ha scelto di abbandonare l'anonimato di "Coletta" per mostrare il volto della sua battaglia. Si chiama Ada, ha 44 anni ed è campana, e la sua vita è stata devastata dalla Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) in un tempo drammaticamente breve.
Diagnostica lo scorso anno, la malattia neurodegenerativa l’ha consumata "con una violenza fulminea": via l'uso delle mani, delle gambe e, infine, della parola.
Attraverso un video, letto per lei dalla sorella Celeste, Ada ha lanciato un appello che risuona come un pugno nello stomaco alla politica, alla sanità e alla giustizia italiana.
"Politici, medici, giudici, guardatemi negli occhi: ogni attesa imposta è una tortura in più," è il suo grido disperato.
La donna, che in passato ha vissuto la vita "con ardore gioie e dolori", ora chiede un’ultima, inalienabile libertà: "poter scegliere una vita dignitosa e una morte serena, vicino alla mia famiglia, nel mio Paese." Ma l'accesso a questo diritto si è trasformato in una crudele "guerra" legale.
La vicenda di Ada è l’ennesimo caso che evidenzia il vuoto legislativo italiano sul fine vita. Dopo aver richiesto l'accesso al suicidio assistito in base ai requisiti stabiliti dalla storica sentenza della Corte Costituzionale 242/2019 (caso Cappato-Antoniani), la 44enne ha ricevuto un diniego dalla sua Azienda Sanitaria Locale.
Il diniego iniziale si basava sul mancato riconoscimento di tre dei quattro requisiti fondamentali: l’ASL aveva riconosciuto solo la patologia irreversibile (SLA), negando invece la volontà inequivocabile, la dipendenza da trattamenti di sostegno vitale e il carattere intollerabile delle sofferenze.
Assistita dal collegio legale coordinato dall’avvocata Filomena Gallo, Segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni, Ada ha dovuto presentare un ricorso d’urgenza al Tribunale di Napoli per opporsi a tale diniego.
"Ada sta affrontando una prova straordinariamente difficile," ha commentato l'avvocata Gallo. "È responsabilità delle istituzioni garantire che questo diritto venga rispettato senza indugi."
Durante l'udienza, si è concordata una nuova valutazione medica sulle condizioni di Ada. Le visite sono state effettuate, ma la donna è ora bloccata nell'angosciante limbo dell'attesa per la relazione finale.
La vicenda di Ada si inserisce nel complesso quadro giuridico italiano. L’aiuto alla morte volontaria, in assenza di una legge, è di fatto regolato dalla sentenza 242/2019, che ha depenalizzato l’articolo 580 del Codice penale solo se il paziente è:
Capace di autodeterminarsi.
Affetto da patologia irreversibile.
Soggetto a sofferenze fisiche o psicologiche che reputa intollerabili.
Dipendente da trattamenti di sostegno vitale.
Inoltre, la recente sentenza costituzionale n. 135 del 2024 ha ampliato la definizione di "trattamento di sostegno vitale", includendo procedure svolte anche da familiari o caregiver, e ha stabilito che il requisito è soddisfatto anche se il trattamento è stato legittimamente rifiutato dal malato.
Ad oggi, solo 16 persone in Italia hanno ricevuto il via libera per l’accesso al suicidio assistito. Undici di loro hanno proceduto con la scelta, mentre Ada aspetta ancora il verdetto burocratico che deciderà se potrà esercitare la sua "libertà di scelta" prima che la SLA le tolga ogni forza per lottare.
Questo articolo è stato pubblicato il 4 Ottobre 2025 - 14:37
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La storia di Ada è molto toccante e fa riflettere sul tema del fine vita in Italia. Tuttavia, ci sono molte questioni legali e morali da considerare. La mancanza di una legge chiara rende tutto più complicato per persone come lei che cercano aiuto.