La polizia allo stadio Romeo Menti di Castellammare
Calcio e camorra: la Juve Stabia sotto sequestro per infiltrazioni della criminalità organizzata. Dalle biglietterie agli steward, dalle bibite alle ambulanze: un intero stadio nelle mani del clan D’Alessandro. Questa l’ipotesi della Direzione distrettuale antimafia di Napoli.
Nelle 28 pagine del decreto del Tribunale di Napoli, Sezione per l'applicazione delle misure di prevenzione, sono concentrati gli esiti delle indagini del commissariato di Castellammare di Stabia e della Squadra Mobile di Napoli, coordinati dalla Dda di Napoli che hanno portato all'applicazione della misura della amministrazione giudiziaria nei confronti della società S. S. Juve Stabia srl.
Il provvedimento firmato dai giudici Teresa Areniello (relatore), Mariarosaria Orditura e Luciano Di Transo, è datato fine settembre di quest'anno.
La relazione della magistratura è netta: “la società S.S. Juve Stabia era di fatto condizionata – se non asservita – alla camorra stabiese”. Il provvedimento di sequestro giudiziario arriva al termine di un’inchiesta che ricostruisce una rete capillare di infiltrazioni criminali in ogni settore legato alla squadra gialloblù.
Dalla biglietteria ai servizi di ristoro, dalle pulizie alle ambulanze, fino alla sicurezza e alla tifoseria organizzata, gli uomini del clan D’Alessandro controllavano – direttamente o attraverso prestanome – ogni attività che ruotava attorno allo stadio Romeo Menti di Castellammare di Stabia.
Il punto di partenza delle indagini è la gestione del ticketing. Nel maggio 2023 la Juve Stabia aveva affidato il servizio di biglietteria elettronica e sponsorizzazione alla società Come on Web S.r.l..
Dietro quella che appariva come una normale operazione commerciale, gli inquirenti hanno scoperto un sistema che consentiva a pregiudicati e destinatari di Daspo di accedere liberamente allo stadio.
Dati anagrafici falsificati, abbonamenti intestati a minori inesistenti o “under 16” fittizi: tra i beneficiari compaiono Emanuele Tremante, storico capo ultras, vicino al clan D’Alessandro; Giuseppe Di Nola, Catello Manuel Spagnuolo e i fratelli Carolei, tutti legati o parenti di noti esponenti criminali.
La rete di vendita dei biglietti era poi gestita da esercizi commerciali che, secondo gli inquirenti, sono riconducibili a personaggi legati alla criminalità organizzata tra questi anche un bar della moglie di un affiliato al clan Cesarano.
Anche la buvette dello stadio era finita sotto il controllo della camorra. Formalmente gestita dalla una ditta gestita da una doona che impiegava persone che gli inquirenti ritengono direttamente collegate ai D’Alessandro.
C’erano Luigi Staiano, nipote del boss Luigi D’Alessandro, il cognato Francesco Fico, e Catello Filosa, pregiudicato per droga e già destinatario di Daspo. A completare il quadro, Domenico Di Maio e Francesco Maggio, entrambi coinvolti in indagini sul clan.
Il collaboratore di giustizia Pasquale Rapicano racconta di un giro d’affari milionario gestito “per conto dei D’Alessandro”, con la donna solo come prestanome: “... paga il clan, la ditta è dei D’Alessandro”.
Nemmeno i servizi di pulizia sfuggivano all’influenza mafiosa. Le società Eco S.r.l.s. e Pro Eco S.r.l.s., incaricate delle pulizie del “Menti”, erano amministrate da Luigi Calabrese, genero del boss Luigi D’Alessandro e figura storica del clan.
Il nome di Annunziata Caso, moglie di Aldo Gionta – esponente apicale del clan di Torre Annunziata – compare tra i dipendenti delle due ditte.
Lo stesso copione si ripete nel servizio ambulanze, affidato a una ditta suentrata alla “Croce Verde” già sequestrata anni prima perché nella disponibilità dei D’Alessandro.
Secondo Rapicano, “le ambulanze sono da sempre cosa nostra”. Il clan avrebbe solo cambiato facciata, continuando a gestire il servizio tramite nuovi prestanome.
Il collaboratore Rapicano arriva a sintetizzare così la situazione: “Lo stadio è come il Comune, in mano al clan D’Alessandro.”Perfino il trasporto della squadra per trasferte e allenamenti era gestito da uomini vicini alla cosca. Alla guida del pullman della prima squadra, nel 2020 e 2021, è stato più volte identificato Pasquale Esposito, genero del boss Luigi D’Alessandro, formalmente dipendente di un'altra società.
Quando l’appalto passa a un'latra societò di viaggi, sponsor ufficiale del club, la sostanza – secondo gli inquirenti – non cambia: un’altra società di facciata, apparentemente estranea, ma inserita nello stesso sistema di potere.
Il cuore del dominio camorristico batteva però nella tifoseria organizzata. Gli ultras gialloblù, raccontano i collaboratori di giustizia, erano diretti da esponenti apicali del clan: Giovanni Imparato detto ’o Paglialone, Emanuele Tremante, Vincenzo Ingenito e Giovanni D’Alessandro.
Oltre ad abbonamenti e tessere gratuite, il clan pretendeva somme di denaro e visibilità. Durante le partite, la curva esibiva striscioni in onore di Luigi ’o Lione, fondatore del clan.
Il 9 febbraio 2025, nel corso di Juve Stabia–Bari, gli agenti di polizia identificano Giovanni Imparato e Tremante nei pressi del tornello, nonostante fossero entrambi colpiti da Daspo. “Io qui faccio cose che tu non puoi fare”, dice l’Imparato a un poliziotto.
Dietro la società Vip Security S.r.l.s., incaricata della sicurezza, gli investigatori trovano Luigi D’Esposito, privo di licenza ma già noto per rapporti con il clan Cesarano.
Nonostante i divieti prefettizi, la Juve Stabia continua ad affidargli il servizio di vigilanza, tanto che lo stesso figura come “vice delegato alla sicurezza”.
In realtà, spiegano gli inquirenti, “l’ordine allo stadio è garantito dagli uomini del clan”. Tremante, Ingenito, Rossetti e i giovani D’Alessandro presidiavano gli ingressi e le curve “per conto della famiglia”.
Dalle carte giudiziarie emerge un quadro inquietante: una società calcistica di provincia, sospinta verso la Serie B, ma intrappolata nella rete del potere camorristico.
“Ritenere che la Juve Stabia sia soltanto condizionata e non soggiogata – scrive il giudice – è più che un ragionevole dubbio.”
La camorra, approfittando del peso sociale del calcio, avrebbe usato la squadra come vetrina, strumento di consenso e leva di controllo sul territorio stabiese.
Un intreccio perverso, in cui la passione sportiva diventa copertura per un sistema di potere mafioso che, tra biglietti, bibite e pulmini, ha trasformato lo stadio Romeo Menti nel suo vero “fortino”.