in foto la donna sfregiata dal marito a sant'anastasia
Sant'Anastasia – Sei mesi dopo quel pomeriggio di terrore, la vita di una donna di Sant’Anastasia è segnata per sempre. Era il 17 marzo quando, durante un violento litigio, il marito – da cui si sta separando – l’ha massacrata di botte davanti alle figlie piccole.
Un’aggressione brutale che le ha causato la frattura pluriframmentaria del pavimento orbitale destro, la perdita di ciocche di capelli e la necessità di un delicato intervento chirurgico con l’inserimento di una protesi all’occhio. Una scena di sangue scolpita negli occhi delle bambine, testimoni innocenti della furia del padre.
“Scattati tante foto e se mai ti balenasse in testa di tornare indietro, riguardale e fatti forza”, le disse la dottoressa del pronto soccorso che la accolse in condizioni disperate. Parole che oggi suonano come un monito.
Oggi quella donna sopravvive tra paure e cicatrici. Ogni volta che si guarda allo specchio ritrova un volto cambiato, asimmetrico, un corpo segnato per sempre. La sua fragilità è amplificata da una realtà che la ferisce più della violenza subita: l’uomo che l’ha ridotta così è ancora libero.
Nessun arresto, nessun divieto di avvicinamento, nessun braccialetto elettronico. Nonostante la denuncia e l’attivazione del Codice Rosso, il giudice ha ritenuto sufficiente che, dopo quell’episodio, non si sia più presentato sotto casa. Una valutazione che lascia la vittima esposta al rischio di nuove ritorsioni.
«Quella sera l’uomo doveva essere arrestato, non ci sono dubbi sulla gravità dei fatti» denuncia l’avvocato Hilary Sedu, che assiste la donna. «Ancora più grave ed eticamente scorretto è il referto del primario di maxillo-facciale del Policlinico Federico II, che ha minimizzato l’accaduto, arrivando persino a sostenere che la donna potesse essere scivolata sullo smartphone.
Una ricostruzione assurda, che sembra voler ridimensionare la violenza subita. Tutto questo, unito ad atteggiamenti discutibili di alcuni militari intervenuti, lascia pensare a possibili influenze esercitate dalla potente azienda per cui lavora l’aggressore».
Al momento, l’unica misura concessa riguarda gli incontri con le figlie, che devono avvenire in un centro protetto e sotto stretta sorveglianza. Ma il timore della donna resta: lui potrebbe tornare a colpire.
A dare voce alla sua denuncia è stato il deputato di Alleanza Verdi-Sinistra Francesco Emilio Borrelli, insieme alla rappresentante territoriale di Europa Verde Ines Barone. «Siamo di fronte a un caso gravissimo – dichiara Borrelli –. Una donna è viva per miracolo, ha riportato danni permanenti e le sue figlie hanno assistito a una scena agghiacciante, eppure l’aggressore è libero.
È una vergogna. Non possiamo chiedere alle donne di denunciare se poi lo Stato le abbandona. Serve un’applicazione rigorosa del Codice Rosso e misure cautelari immediate, altrimenti continueremo a piangere vittime innocenti».
Il parlamentare ha annunciato la presentazione di un’interrogazione al Ministero della Giustizia per fare chiarezza sulle decisioni prese e un esposto agli organi di controllo sanitari e giudiziari per verificare la correttezza del referto medico contestato.
Intanto la vittima prova, con enorme dignità, a farsi forza: «Sono grata al Signore perché sono viva e perché le mie figlie hanno ancora la loro mamma. Ma non posso vivere nella paura che lui torni. Non riesco più a lavorare, faccio fatica in ogni gesto quotidiano. Chiedo che la mia vicenda non venga dimenticata, perché troppe donne non hanno avuto la mia stessa possibilità di raccontare la loro storia».
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Questo articolo è molto triste e fa riflettere sulla violenza contro le donne. Non è giusto che la donna debba vivere con paura e l'aggressore sia libero. Spero che ci siano misure più severe per proteggere le vittime.