il carcere di fuorni dove un detenuto si è tolto la vita
Salerno– Un cuore che cede nella sezione tossicodipendenti, un lenzuolo stretto al collo in un disperato tentativo di fuga dalla vita. Il carcere di Fuorni, a Salerno, torna alla ribalta delle cronache non per una evasione o una rissa, ma per il dramma quotidiano che si consuma tra le sue mura: la morte.
Domenico Petrozzi, 57 anni, originario di Nocera Inferiore, ha smesso di respirare nella sua cella. Un arresto cardiaco lo ha stroncato. Poche ore prima, un altro detenuto è stato salvato in extremis dalla Polizia Penitenziaria mentre tentava di togliersi la vita. Due vite, due drammi che riaccendono i riflettori su un'emergenza nazionale troppo spesso ignorata: la strage silenziosa delle carceri italiane.
Quello di Domenico Petrozzi non è un caso isolato, ma l’ennesimo capitolo di una storia di sofferenza che si trascina da anni. L'uomo, segnato da una lunga battaglia contro la tossicodipendenza, era tornato dietro le sbarre dopo l'ennesima denuncia dei genitori.
Nella sezione a lui assegnata, dove era in cura con terapia metadonica, la sua vita si è spenta improvvisamente. L’allarme lanciato dai compagni di cella non è bastato a salvarlo. L’inchiesta aperta dalla Procura e l'esame autoptico dovranno chiarire le cause precise del decesso, ma la sua morte si unisce a una statistica drammatica che non conosce sosta.
Le condizioni del penitenziario di Fuorni sono lo specchio di un sistema al collasso. Sovraffollamento, carenza di personale e assistenza sanitaria insufficiente creano un cocktail letale. Con oltre 500 detenuti a fronte di una capienza di 380, la struttura è un barile di polvere pronto a esplodere, teatro di violenze, omicidi e, come nel caso di Petrozzi, di decessi per cause naturali che troppo spesso celano un'assenza di cure adeguate.
La morte di Petrozzi e il tentativo di suicidio non sono eventi isolati, ma il riflesso di un'emergenza nazionale. I dati forniti dal Garante dei detenuti, Samuele Ciambriello, dipingono un quadro allarmante per l'anno in corso. "Si continua a morire di carcere e in carcere," denuncia Ciambriello. E i numeri confermano le sue parole:
169 detenuti morti in carcere in Italia dall'inizio del 2025.
61 suicidi, un numero che grida disperazione e che evidenzia la mancanza di supporto psicologico e di presidi di salute mentale.
70 decessi per cause naturali, spesso legati a malattie croniche o a condizioni sanitarie precarie, con un'assistenza che stenta a tenere il passo.
38 morti per cause ancora da accertare, che attendono risposte da inchieste che spesso si perdono nel tempo.
La Campania, in particolare, conta 11 decessi "inspiegati," con le famiglie che attendono da mesi verità e giustizia. Il sistema, secondo il Garante, è afflitto da "carenze strutturali, mancanza di figure socio-assistenziali e problemi legati alla tossicodipendenza e alla salute mentale."
Le morti in carcere non sono semplici statistiche. Sono storie di vite spezzate, di famiglie che piangono un figlio, un fratello, un padre. Dietro ogni numero c'è una persona, spesso dimenticata dalla società che la giudica due volte: una per il reato commesso, l'altra per l'indifferenza con cui la condanna a una pena che può costare la vita.
L'appello del Garante è rivolto alla politica, a cui chiede di "avere il coraggio di intervenire." Ma è anche un monito per l'intera società. L'ombra della morte che si allunga sulle nostre carceri non è solo un problema di sicurezza o di giustizia. È un problema di civiltà. Finché le carceri continueranno a essere luoghi di disperazione e non di riabilitazione, non potremo dirci una nazione che rispetta la dignità umana, anche quando questa dignità è stata perduta.
Questo articolo è stato pubblicato il 20 Settembre 2025 - 09:37
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E' un articolo che fa riflette su condizioni terribili delle carceri italiane. La storia di Domenico Petrozzi è una tra tante e sembra che nessuno se ne preoccupi davvero, nonostante i numeri siano allarmanti e le famiglie siano in attesa di giustizia.