Napoli – Una svolta clamorosa chiude il caso della pen-drive di Michele Zagaria, il boss dei Casalesi catturato il 7 dicembre 2011 a Casapesenna (Caserta).
La Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la condanna nei confronti di Oscar Vesevo, il poliziotto accusato di aver sottratto, durante l’operazione di arresto del capoclan, una chiavetta USB che, secondo la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, conteneva i segreti del boss.
Altri reati contestati all’agente, tuttora in servizio presso la Questura di Isernia, sono stati dichiarati prescritti, mettendo la parola fine a una vicenda giudiziaria lunga e controversa.Il caso aveva preso il via con un’accusa grave: Vesevo, difeso dall’avvocato Giovanni Cantelli, sarebbe stato responsabile del furto della pen-drive e della sua successiva vendita per 50mila euro a un imprenditore ritenuto vicino al clan dei Casalesi.
Un’ipotesi, quest’ultima, che non ha mai trovato riscontro né nelle indagini né nel processo di primo grado, celebrato al Tribunale di Napoli Nord ad Aversa.Potrebbe interessarti
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Tuttavia, il tribunale aveva già smontato parte dell’impianto accusatorio, assolvendo l’agente dall’accusa di accesso abusivo a sistema informatico e, soprattutto, escludendo l’aggravante mafiosa, che rappresentava il cuore delle imputazioni legate alla presunta cessione della chiavetta al clan.
In Corte d’Appello, la posizione di Vesevo si era ulteriormente alleggerita: il reato di peculato era stato derubricato a furto, con l’aggravante dell’accesso in un edificio destinato ad abitazione, e la pena era stata ridotta a tre anni e tre mesi.
Ora, la decisione della Cassazione segna un punto di svolta definitivo, annullando la condanna e sancendo la prescrizione degli altri capi d’imputazione.Il caso, che aveva sollevato interrogativi sulla gestione di prove sensibili durante operazioni di alto profilo, si chiude dunque con un esito favorevole per il poliziotto, lasciando però aperte riflessioni sull’efficacia dei controlli interni e sulla complessità delle indagini che coinvolgono la criminalità organizzata.
La pronuncia della Suprema Corte rappresenta un momento di sollievo per Vesevo e il suo legale, ma non cancella il dibattito su una vicenda che ha tenuto banco per oltre un decennio.






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