No al razzismo
Napoli – Una storia che racconta non soltanto la crudeltà di due ragazzi, ma anche il veleno dell’odio razziale che continua a insinuarsi nei quartieri delle città italiane. A Napoli, una ventenne di origine gambiana è stata vittima di insulti, sputi, minacce e aggressioni fisiche da parte di un gruppo di coetanei.
Tra loro, due giovani – uno maggiorenne e l’altro minorenne – sono stati raggiunti da misure cautelari disposte rispettivamente dalla Procura di Napoli e dalla Procura dei Minorenni: per il primo è scattato il divieto di avvicinamento e il braccialetto elettronico, per il secondo l’inserimento in una comunità.
Secondo le indagini, la giovane era bersaglio di vessazioni da novembre 2024. Ogni volta che si recava a fare la spesa, rischiava di imbattersi in quel gruppetto di ragazzi che la insultava con frasi discriminatorie e cariche d’odio razziale.
Le parole offensive si sono trasformate in atti persecutori sempre più violenti, fino all’episodio più recente: sputi in faccia, il tentativo di investirla con un’auto, il furto del cellulare con cui la ragazza stava registrando la scena. Solo l’intervento di alcuni passanti le ha permesso di sottrarsi all’aggressione e di mettere in salvo le immagini, decisive per le indagini.
La vittima ha consegnato agli investigatori video e foto che documentano le persecuzioni. Materiale che, nelle parole del procuratore dei minori Patrizia Imperato, “documenta in maniera incontestabile le vessazioni subite”.
Per gli inquirenti, il quadro è chiaro: non si tratta di una semplice “ragazzata”, ma di un comportamento reiterato, sistematico, e soprattutto intriso di odio razziale.
La vicenda solleva interrogativi profondi. Che cosa porta due ragazzi, entrambi incensurati, a spingersi fino a gesti tanto gravi da rischiare di mettere in pericolo la vita di una coetanea? La risposta non può limitarsi al singolo episodio: riflette un clima di intolleranza che si alimenta nei contesti sociali più fragili, dove la diversità diventa bersaglio facile e la violenza un linguaggio quotidiano.
Gli insulti razzisti e la brutalità non sono un fenomeno isolato. Diversi rapporti – dalle associazioni antirazziste all’Osservatorio nazionale contro le discriminazioni – segnalano un aumento di episodi simili, spesso minimizzati come “atti di bullismo”. Ma la linea di confine è sottile: quando le parole diventano minacce, quando lo scherno si trasforma in aggressione fisica, siamo di fronte a un vero e proprio crimine d’odio.
Le misure cautelari rappresentano un primo segnale, ma non bastano. La vicenda di Napoli richiama la necessità di un impegno collettivo: scuole, famiglie, comunità devono farsi carico di un’educazione alla convivenza e al rispetto delle diversità. Ogni episodio di razzismo taciuto o minimizzato rischia di alimentare un clima tossico, in cui la violenza diventa normalità.
Dietro questa storia non c’è solo una cronaca giudiziaria, ma la vita spezzata di una ragazza di vent’anni, figlia di immigrati che lavorano onestamente a Napoli. Una giovane che voleva soltanto compiere gesti quotidiani, come andare a fare la spesa, e che invece ha dovuto affrontare un incubo fatto di insulti e aggressioni. La sua denuncia, coraggiosa, è oggi un atto di resistenza civile contro l’odio.
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E' veramente triste vedere come la società possa essere cosi violenta e piena d'odio. Questi ragazzi non pensano alle conseguenze delle loro azioni, e questo episodio dimostra che c'è un problema serio di intolleranza che deve essere affrontato. La vita di una persona non dovrebbe mai essere messa in pericolo per questioni di razza.