Napoli – È accaduto tutto nel cuore del centro storico, in zona Santa Chiara. Una giovane di 24 anni si è vista aggredita verbalmente e fisicamente dal padre, un uomo di 51 anni, incapace di accettare la sua omosessualità.
Prima le minacce, urlate davanti ai clienti di un bar dove la ragazza lavora – “devi cambiare cognome” –, poi la furia che si è spostata davanti alla porta di casa, dove la giovane vive insieme alla madre.
Secondo quanto ricostruito dai carabinieri della compagnia Centro, l’uomo ha bussato con violenza, colpendo ripetutamente l’ingresso e lanciando minacce di morte, mentre la figlia, terrorizzata, si era barricata all’interno.
Allertati dalla centrale operativa, i militari sono intervenuti cogliendo l’uomo nel pieno del suo tentativo di sfondare la porta. Non era la prima volta: episodi simili si erano già verificati in passato.
Anche davanti ai carabinieri, il 51enne ha continuato a insultare e minacciare la figlia.Potrebbe interessarti
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Una violenza che ferisce due volte
Il fatto non è solo cronaca di Napoli. Colpisce perché nasce all’interno di una famiglia, luogo che dovrebbe rappresentare protezione e accoglienza. Lì dove l’amore dovrebbe essere incondizionato, prevale invece l’intolleranza.
Il rifiuto della libertà e dell’identità della figlia si è trasformato in persecuzione, dimostrando quanto l’arretratezza culturale possa ancora trasformarsi in violenza concreta.
È un episodio che riapre il dibattito sulla sicurezza delle persone LGBTQ+ e sull’urgenza di strumenti di tutela più efficaci. Non si tratta solo di un padre incapace di accettare la vita della propria figlia: è l’espressione di un problema più profondo, radicato in stereotipi e pregiudizi che ancora resistono.
L’arresto ha evitato che la situazione degenerasse ulteriormente, ma resta l’amarezza di una vicenda che mette in discussione i valori fondamentali della convivenza familiare e civile. Perché non può esserci giustificazione alla violenza, soprattutto quando colpisce chi dovrebbe ricevere soltanto affetto e sostegno.
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