Nell'immagine, un dettaglio legato alla vicenda.
Nel cuore pulsante del centro storico di Napoli, tra i vicoli stretti che profumano di storia e tradizione, si nasconde un luogo poco conosciuto ma dal fascino irresistibile: la Chiesa di Santa Luciella ai Librai. Piccola, quasi discreta, questa chiesa barocca racchiude un mistero che da secoli incuriosisce e affascina napoletani e visitatori: il leggendario teschio con le orecchie.
La leggenda vuole che questo cranio, a differenza di tutti gli altri, fosse in grado di "ascoltare" le preghiere dei fedeli grazie a due particolari protuberanze ossee che ricordano appunto delle orecchie. Non a caso, il culto che vi si sviluppò si intreccia strettamente con quello delle anime pezzentelle, un’antica pratica popolare che prevedeva l’adozione spirituale dei resti anonimi custoditi negli ossari, trasformandoli da simboli di abbandono a mediatori di grazia e speranza.
La Chiesa di Santa Luciella fu fondata nel Trecento da Bartolomeo di Capua, grande consigliere del re Carlo II d’Angiò. Nata inizialmente come luogo di culto per la Confraternita dei Molinari, passò poi nelle mani dei Pipernieri, artigiani che lavoravano il piperno, la pietra vulcanica tipica dell’architettura napoletana. A loro si deve la dedica a Santa Lucia, protettrice della vista, invocata dagli scalpellini per preservare i propri occhi durante il duro lavoro.
Ma la vera anima della chiesa si trova nel suo ipogeo: un ambiente sotterraneo adibito a ossario. Qui, nel silenzio e nella penombra, prendeva vita il culto delle anime pezzentelle, una tradizione profondamente radicata nella cultura napoletana. I fedeli adottavano un teschio anonimo, lo ripulivano, lo custodivano e pregavano per la salvezza della sua anima in cambio di protezione o piccoli miracoli. Era un rapporto di scambio, di fiducia reciproca, in cui il devoto si prendeva cura della memoria dei defunti dimenticati e questi, a loro volta, diventavano intercessori presso Dio.
In questo contesto unico si inserisce la leggenda del teschio con le orecchie, un cranio diverso da tutti gli altri, al quale non apparteneva un solo fedele, ma l’intera comunità. Esso era considerato il più attento e disponibile ad accogliere le suppliche, trasformandosi in simbolo di speranza collettiva per chi cercava conforto e ascolto.
Tra i tanti resti custoditi nell’ipogeo di Santa Luciella, uno solo ha saputo distinguersi e guadagnarsi un ruolo speciale nel cuore dei fedeli: il celebre teschio con le orecchie. Si tratta di un cranio umano che conserva, in maniera del tutto insolita, due ossa temporali che somigliano a vere e proprie orecchie. Per i napoletani, popolo abituato a intrecciare fede e leggenda, quella peculiarità non poteva essere casuale: significava che quel cranio era diverso, “ascoltava” meglio degli altri.
In un contesto dove il culto delle anime pezzentelle dava voce agli invisibili, il teschio divenne un mediatore privilegiato, un alleato silenzioso capace di ricevere le preghiere e trasmetterle più direttamente a Dio. A differenza degli altri crani, che venivano adottati individualmente da famiglie o singoli fedeli, il teschio con le orecchie era di tutti: una sorta di protettore collettivo, capace di accogliere speranze e suppliche di un intero quartiere.
Gli studiosi moderni hanno chiarito che non si tratta di un miracolo anatomico, ma di una rarissima coincidenza ossea. Eppure, ciò non ha mai diminuito la forza simbolica di questa reliquia: anzi, il suo mistero è cresciuto col tempo, alimentando racconti popolari che ancora oggi rendono Santa Luciella una tappa immancabile per chi vuole scoprire il volto più intimo e segreto di Napoli.
La storia della Chiesa di Santa Luciella non è solo antica tradizione, ma anche un racconto di abbandono e rinascita. Dopo il devastante terremoto del 1980, l’edificio fu chiuso e lasciato a un destino di degrado. Per oltre trent’anni il piccolo gioiello barocco rimase sepolto sotto polvere, rifiuti e indifferenza, fino a rischiare di essere dimenticato. Con esso, anche la leggenda del teschio con le orecchie e il ricordo del culto delle anime pezzentelle sembravano destinati a scomparire.
Il riscatto arrivò grazie a un gruppo di giovani napoletani riuniti nell’associazione Respiriamo Arte, che nel 2013 riscoprirono il luogo attraverso un vecchio libro sulle chiese chiuse di Napoli. Da allora iniziò un percorso difficile ma appassionato di recupero, che vide il sostegno dei cittadini, di studiosi e di volontari. Nel 2019 la chiesa fu finalmente riaperta al pubblico: non solo come luogo di devozione, ma come spazio di cultura, memoria e comunità.
Questo articolo è stato pubblicato il 6 Settembre 2025 - 20:31