Nella foto i carabinieri all'ascolto durante le intercettazioni telefoniche
Un patrimonio costruito con i soldi della camorra, nascosto dietro intestazioni fittizie e affari di facciata. È quanto hanno scoperto i carabinieri del Nucleo Investigativo di Caserta che, all’alba di oggi, hanno eseguito un’ordinanza cautelare emessa dal gip di Napoli, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia.
Tre le persone finite nel mirino: una in carcere e due agli arresti domiciliari. L’accusa è di concorso in riciclaggio e autoriciclaggio aggravati dal metodo mafioso.
L’inchiesta, avviata nel 2024 e conclusa nei primi mesi del 2025, ha incrociato più fronti investigativi: attività tecniche, accertamenti patrimoniali, analisi di colloqui in carcere di detenuti sottoposti al 41 bis e verifiche sulle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia. Un lavoro che ha permesso di ricostruire un sofisticato meccanismo di riciclaggio legato al clan dei Casalesi.
Secondo la ricostruzione degli inquirenti, gli indagati – tra cui il fratello di un esponente di primo piano della cosca – avrebbero impiegato e trasferito denaro di provenienza illecita in una serie di operazioni finanziarie e immobiliari studiate per rendere impossibile risalire all’origine dei fondi.
Gli investigatori hanno ricostruito la vicenda di un appezzamento di terreno con fabbricato rurale, dal valore stimato in circa 500 mila euro. Prima della cattura, un esponente di vertice del clan lo aveva acquistato, lasciandolo però formalmente intestato al venditore e, dopo la sua morte, al figlio di quest’ultimo. Il terreno era stato successivamente affittato a terzi, garantendo così una rendita costante.
Dietro le quinte, però, a gestire i beni era il fratello del boss, che avrebbe continuato a controllare l’investimento tramite prestanome, garantendo entrate sicure per il mantenimento del familiare detenuto e dei suoi congiunti.
Contestualmente agli arresti, la magistratura ha disposto il sequestro preventivo del terreno e del fabbricato rurale. Un tassello che, sottolineano gli investigatori, si inserisce nella più ampia strategia di contrasto ai patrimoni criminali accumulati nel tempo dalle organizzazioni mafiose.
L’indagine prosegue per ricostruire la rete di fiancheggiatori che, tra le province di Caserta e Napoli, avrebbe permesso di mantenere attivi i flussi economici del clan nonostante arresti, condanne e confische.
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