Un colpo al cuore patrimoniale del clan Zagaria, ma con alcune crepe. La Corte d’Appello di Napoli ha confermato la confisca di beni e aziende per Gaetano e Silvestro Balivo, imprenditori del casertano ritenuti dall’accusa espressione di un ramo economico del sodalizio camorristico.
La sentenza di secondo grado, emessa ieri, ribadisce il radicato legame dei due con la criminalità organizzata, sancendo il definitivo trasferimento allo Stato del loro ingente patrimonio. Tuttavia, rispetto al maxi-sequestro disposto in primo grado, i giudici d’Appello hanno operato un bilanciamento delle posizioni dei familiari, restituendo una consistente fetta di beni ai figli.
Gaetano Balivo sta scontando una condanna a 12 anni di carcere
La vicenda giudiziaria ha radici profonde. Gaetano Balivo sta attualmente scontando una condanna a 12 anni di reclusione per associazione camorristica, un verdetto che ha costituito il pilastro portante dell’ipotesi accusatoria.
Diverso il percorso del fratello, Silvestro Balivo, i cui procedimenti per concorso esterno in associazione mafiosa si erano conclusi con un’archiviazione.Potrebbe interessarti
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Se il principio è stato confermato – i Balivo sono imprenditori di camorra e come tali vanno colpiti – l’Appello ha ridisegnato la mappa delle confisca. Il tribunale di primo grado aveva optato per una misura "a rete", sequestrando tutti i beni, compresi quelli formalmente intestati a mogli e figli, ritenuti frutto di reinvestimenti illeciti o di un’azione di mascheramento. La Corte d’Appello, con un’analisi più granulare, ha distinto le posizioni.
A Michele Balivo, figlio di Gaetano, sono stati così restituiti oltre 20 appartamenti e i conti correnti cointestati alla moglie. A Salvatore Balivo, figlio di Silvestro, tornano le società mediche di sua pertinenza. Restano invece confiscati tutti i beni riferibili a Francesco Balivo (altro figlio di Silvestro), a Rosa Catalano (moglie di Silvestro) e a Maria Rotonda Giordano (moglie di Gaetano), nonché altre proprietà di Salvatore.
La sentenza, ora passata in giudicato, rappresenta un emblematico caso di studio. Dimostra la determinazione dell’autorità giudiziaria nel colpire i patrimoni, vero motore delle organizzazioni criminali, ma anche la complessità delle ricostruzioni patrimoniali quando gli affari leciti e illeciti si intrecciano a doppio filo con le dinamiche familiari.
Un braccio di ferro fatto di atti notarili, movimenti finanziari e proprietà apparenti, dove la giustizia non sempre riesce a provare fino in fondo il nesso tra il bene e il reato, soprattutto quando si scende di un gradino nella scala familiare. Ma il nucleo centrale, quello dei due fratelli, è andato distrutto.






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