La Procura di Napoli ha presentato ricorso
Un nuovo capitolo si apre nell’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia (Dda) di Napoli su un presunto sistema di corruzione, appalti truccati e legami con la camorra, che il 9 settembre ha portato all’arresto di dieci persone.
La Procura ha presentato ricorso al Tribunale del Riesame contro la decisione del gip Nicola Marrone di escludere l’accusa di associazione camorristica e l’aggravante mafiosa per gli indagati, una scelta che ha suscitato dibattito e spinto i pm a chiedere una revisione dei provvedimenti.
L’indagine, condotta dai pm Vincenzo Ranieri e Maurizio Giordano della Dda di Napoli insieme ai Carabinieri del Comando provinciale di Caserta, ha scoperchiato quello che gli inquirenti definiscono il “sistema Ferraro”, un intreccio di tangenti, favori e appoggi elettorali per pilotare appalti nella gestione dei rifiuti e della sanificazione in strutture sanitarie e ospedaliere.
Al centro della vicenda c’è Nicola Ferraro, ex consigliere regionale dell’Udeur e imprenditore nel settore dei rifiuti, originario di Casal di Principe, già condannato in passato a sette anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa come presunto “colletto bianco” del clan dei Casalesi. Ferraro è tra i tre indagati finiti in carcere, mentre altri sette sono stati posti ai domiciliari.
L’inchiesta ha coinvolto anche figure di spicco, come il sindaco di Arienzo e coordinatore di Forza Italia a Caserta, Giuseppe Guida (ai domiciliari), e il rettore dell’Università Parthenope di Napoli, Antonio Garofalo, sospeso dall’incarico.
Tra gli indagati figurano inoltre amministratori locali di Frattamaggiore (Napoli) e San Giorgio del Sannio (Benevento), oltre a sette persone colpite da misure come il divieto di dimora e interdittive.
Secondo la Procura, il “sistema Ferraro” si basava su un meccanismo collaudato: appalti assegnati a società vicine a Ferraro grazie a corruzioni e favori, con un’influenza che si estendeva ben oltre i confini campani, fino a Catania, dove un’azienda legata all’imprenditore avrebbe ottenuto commesse grazie alle sue conoscenze nelle pubbliche amministrazioni.
I reati contestati spaziano dalla corruzione alla turbativa d’asta, dal riciclaggio all’autoriciclaggio, con l’aggravante mafiosa per aver, secondo l’accusa, agevolato il clan dei Casalesi.Tuttavia, il gip Nicola Marrone ha escluso l’associazione camorristica per Ferraro e l’aggravante mafiosa per gli altri indagati, pur riconoscendo nell’ordinanza cautelare l’“autorevolezza mafiosa” dell’ex consigliere regionale.
Una decisione che ha spinto la Procura a presentare appello, contestando anche il mancato accoglimento di misure cautelari richieste per altri indagati, tra cui l’ex consigliere regionale e attuale coordinatore regionale di Azione, Luigi Bosco, il consigliere comunale di Napoli Luigi Grimaldi (all’epoca dei fatti consigliere a Frattamaggiore) e l’ex sindaco di San Giorgio del Sannio, Angelo Ciampi.
L’inchiesta, che getta nuova luce sulle infiltrazioni della criminalità organizzata nel tessuto amministrativo e imprenditoriale, è destinata a far discutere. La Procura insiste sulla matrice mafiosa del sistema, sottolineando come i legami e l’influenza di Ferraro rappresentino una minaccia per la trasparenza e la legalità nella gestione della cosa pubblica.
Ora la parola passa al Riesame, chiamato a valutare se le accuse di stampo mafioso troveranno conferma, in un caso che continua a scuotere la Campania e non solo.
Questo articolo è stato pubblicato il 15 Settembre 2025 - 19:09
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La situazione e complessa e richiede attenzione. E' importante che le autorità facciano chiarezza su questi legami tra politica e mafia, perche la legalità deve prevalere. Speriamo che giustizia venga fatta.
Sì, è fondamentale che le indagini portano a risultati concreti. La corruzione danneggia tutti noi e la fiducia nelle istituzioni deve essere ripristinata per il bene della comunità.