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Dalla matita al neon: il percorso artistico di Nadia Leo

L’artista salernitana che ha rigenerato il borgo di Monticelli a Olevano sul Tusciano con la street art
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La pausa estiva, oltre a offrire riposo dai ritmi quotidiani, diventa spesso occasione di scoperta e incontro con nuove esperienze. In questo tempo sospeso, tradizione e contemporaneità si intrecciano, come ad Olevano sul Tusciano, nel borgo di Monticelli, rigenerato dalla creatività di Nadia Leo e del collettivo “Le Moire”.

Un progetto artistico sostenuto da istituzioni e associazioni locali, che ha coinvolto con entusiasmo la comunità, pronta ad accogliere nuove forme di espressione e rinascita.

Le superfici e le facciate esterne di Monticelli, il 12 e 13 agosto scorsi, si sono così trasformate in pagine di una narrazione visiva romantica e spettacolare: racconti silenziosi di un quartiere antico, che con i nuovi murales irrora una riaccesa vitalità per  resistere all’oblio.

Nadia Leo, pittrice e muralista salernitana, ha coinvolto in questa esperienza un’ex collega di lavoro e sua madre, rispettivamente Angelina E. Di Gennaro I. e Nataliya Smirnova. Le tre, unite da una visione condivisa, hanno fondato per l’occasione il collettivo Le Moire, ispirato alle figure mitologiche che tessono il destino, come a voler infondere alla loro arte femminile una forza rigenerante e profondamente trasformativa.

In seguito, rispondendo alla forte richiesta da parte della comunità, hanno avviato una proficua collaborazione con Assunta La Corte – artista locale –  contribuendo insieme a tappezzare di murales l’intero borgo.

La carica vitale della loro street art è testimoniata dalle parole suggestive ed accorate che Nadia ha condiviso sul suo profilo Instagram, raccontando l’intervento pittorico nel borgo di Monticelli:

Abbiamo dipinto un borgo armate di colori, pennelli e vestiti da sporcare. I primi a cui abbiamo lavorato sono stati gli ulivi secolari. Da cosa siamo state ispirate? Beh, ci è bastato guardarci intorno: Il senso di pace, i vicoli curati, la gentilezza e la disponibilità di chi, salita dopo salita, ha preparato il borgo per la festa.

Vecchie e nuove generazioni, unite dall’amore per il proprio borgo, ci hanno ricordato che rigenerare talvolta non significa cambiare, ma valorizzare e dare sostegno a chi custodisce le radici, volgendo i propri rami, come sempre, verso il sole”.

Ma l’arte evoca da sempre l’importanza degli incontri, delle suggestioni innescate dall’osservazione e dal riflesso di una luminosità che da essa prende forma, penetrando lo sguardo del visitatore attratto dalla sua armonia. 

I tratti decisi e i colori vibranti dei vicoli di Monticelli celano una storia personale, fatta di sfide, introspezione e una continua ricerca di senso, resa accessibile grazie all’incontro con l’artista.

Abbiamo perciò accolto ed ascoltato il racconto di Nadia Leo, persona determinata, dotata di rigore tecnico e sensibilità,  che sviluppa linguaggi visivi capaci di dialogare con lo spazio e con le persone, senza clamore ma con coerenza. L’intervista che segue ci ha consentito di scoprire il suo percorso, le sue tecniche e la sua prospettiva professionale.

  • La tua produzione artistica si distingue per un tratto realistico e iperrealista che cattura lo sguardo e restituisce intensità alle immagini. Come è nata la tua passione per l’arte? Ci sono esperienze personali o incontri significativi che hanno influenzato la scelta di questa tecnica e la definizione del tuo stile?

“Ho cominciato frequentando il liceo artistico, poi ho proseguito con l’accademia, che però non ho concluso per esigenze lavorative. Ma appena riesco, la porterò a termine. Non è mai tardi per studiare. Il mio professore di scultura mi ha indirizzata alla pittura, è stato un esempio.

Anche l’insegnante di disegno dell’Accademia ha riconosciuto il mio talento – tra l’altro nasco proprio con il disegno a matita, che oltretutto mi identifica da sempre – e mi ha spronata a portarlo avanti; mi ha dato l’impulso per continuare. Ho lavorato per quasi dieci anni in un’azienda di arredamento moderno, dove ho scoperto la pittura acrilica ed affinato questa tecnica.

Nel tempo, ho deciso  di sperimentarne sempre nuove. Ho il desiderio di esplorare anche il mondo scientifico – un’altra mia passione –  in particolare le neuroscienze, perché credo che fantasia e cervello siano profondamente connessi. La mia tesi potrebbe proprio indagare questo legame.

Inizialmente il mio stile era iperrealista, spinta dal desiderio di raggiungere una perfezione quasi impossibile – una sfida personale, ma anche una risposta a chi dubitava delle mie capacità. Oggi cerco un equilibrio tra rigore tecnico e libertà espressiva, fondendo l’iperrealismo con elementi contemporanei. Applico anche il neon espressionista, una tecnica che ben si concilia con la mia vena introspettiva; utilizzo colori fluorescenti con cui continuo ad esplorare il realismo”.

  • Attraverso il tuo tratto realistico e iperrealista, cosa desideri comunicare? C’è l’intento di trasmettere emozioni, raccontare una verità, o forse qualcosa di più sottile?

“Desidero trasmettere principalmente il mio stato emotivo, che si manifesta – direi quasi con una battuta – come malessere puro. Intendo quello interiore, che emerge quando non riesco ad esprimermi bene a parole, oppure quando mi sento frenata a livello sociale: come un nervo sempre scoperto.

Quando sento parlare di un problema, sento il bisogno di tradurlo in immagine. Di solito mi esprimo attraverso gli autoritratti; uso la postura del corpo per comunicare, perché se il soggetto sono io, preferisco non espormi troppo. Non voglio mi si veda chiaramente, ma la postura, insieme ai colori – neutri o molto vivaci, come nell’ultima opera “L’Esodo di Ecate” – raccontano ciò che provo.

I colori fluorescenti, in particolare, sono espressi nel mio lavoro anche perché sto osservando come funziona il mercato attuale, in vista di una possibile esperienza nelle gallerie. È una delle tendenze che sta funzionando. L’uso dei colori luminescenti, in questo senso, diventa una tecnica che blocca e fissa l’umore, attribuendogli una forma visiva precisa.

Per collegarmi invece ai Murales – ma anche a qualche opera personale – oltre a stati emotivi che possono essere pesanti e poco piacevoli, cerco di trasmettere anche questo senso di pace ed  ammirazione su opere dedicate, nella speranza che un’ideologia equa e giusta possa concretizzarsi”.

  • Essere donna e artista nel Sud Italia comporta ancora oggi sfide specifiche? Hai sentito l’esigenza di dover dimostrare di più rispetto ai tuoi colleghi uomini per affermarti nel mondo dell’arte?

“La mia natura introversa, unita al fatto di essere donna, ha reso più complesso il percorso di affermazione nel mondo dell’arte. Ho sempre rifiutato l’idea di dover compiacere qualcuno per ottenere visibilità. Ho espresso chiaramente questo dissenso: credo fermamente che il riconoscimento debba arrivare per merito, non per dinamiche di simpatia o opportunismo. Come donna, ho spesso sentito il bisogno di dimostrare di più, soprattutto quando proponevo arte astratta.

Per evitare giudizi superficiali, ho affiancato mostre di disegno accademico a quelle più sperimentali, proprio per affermare la mia competenza. Ho esposto in spazi alternativi, come bar e locali, che promuovevano artisti emergenti. Purtroppo, c’è ancora una diffidenza verso le competenze femminili, e su questo punto porto avanti una battaglia: la qualità dell’opera deve essere il principale criterio di valutazione”.

  • C’è stata una manifestazione artistica che ha rispecchiato profondamente il tuo linguaggio espressivo e la tua visione del mondo? Un’occasione in cui hai sentito che la tua arte dialogava in modo autentico con lo spazio, il pubblico e il contesto?

“Tra le manifestazioni a cui ho partecipato, quelle in cui mi sono sentita più coinvolta sono il Limen di Salerno e l’intervento ad Olevano, dove ho lavorato attivamente sui murales. Al Limen, in particolare, ho presentato due opere: “L’esodo di Ecate”, esposta nell’area expo, e un’altra  realizzata dal vivo durante la terza serata, ispirata all’installazione di Hermes Mangialardo — una grande luna gonfiabile illuminata dall’interno — che ho reinterpretato attraverso il live painting”.

  • Ho notato con grande interesse che hai partecipato ad iniziative internazionali in città come Berlino, Dubai e Pechino. Puoi raccontarci qualcosa di più su questa esperienza?

“Si, ho fatto un’esposizione virtuale, una videoesposizione, a Berlino, Dubai e Pechino. Mi sono candidata con un ‘opera in ogni città per partecipare a queste esposizioni collettive e a premi internazionali. In seguito sono stata pubblicata nei manuali di questi premi. Ci saranno future tappe anche a New york, Monaco e Venezia”.

  • Quali sono i progetti futuri che stai sviluppando?

“Sarò fisicamente presente con le mie opere nell’ambito di due manifestazioni ad ottobre.

Innanzitutto alla Biennale di Salerno, che si svolgerà dal 18 ottobre al 2 novembre al palazzo Fruscione. Inoltre una mia opera è stata inserita nell’Annuario Artisti ’25 e, sempre ad ottobre, sarà esposta a Palermo”.

Nadia Leo è un’artista a tutto tondo, che sfugge a definizioni rigide e si muove tra tecnica e introspezione, guidata da un’intima esigenza espressiva. Non cerca il centro dell’attenzione, ma si mette in gioco con profondità e rigore. Animata da una curiosità fervente e aperta alla sperimentazione, la fluidità del suo processo creativo si fonda su una motivazione solida e consapevole: “so fare questo, e scelgo di fare anche altro”.

Il borgo di Monticelli, con i suoi vicoli dipinti e la ritrovata vitalità, offre l’occasione di incontrare da vicino la sua arte, che con il collettivo Le Moire ha trasformato i muri in narrazione visiva. Chi desidera seguirla potrà farlo anche alla Biennale di Salerno, dal 18 ottobre al 2 novembre presso Palazzo Fruscione.

Inoltre, Nadia conduce laboratori di disegno e pittura in collaborazione con associazioni locali, offrendo momenti di formazione e scambio aperti a tutti.

Per restare aggiornati sui suoi progetti, esposizioni e iniziative artistiche, è possibile seguirla su Instagram (@nadialeoart) e su Facebook (Nadia Leo). Perché l’arte, come ci insegna lei stessa, è un incontro che si rigenera ogni volta che qualcuno sceglie di guardare davvero.

RIPRODUZIONE RISERVATA
Articolo pubblicato da Annamaria Cafaro il giorno 25 Agosto 2025 - 08:31

Commenti (1)

L’articolo parla di un progetto interessante in un borgo che pare aver rinato grazie all’arte. La trasformazione dei muri in opere d’arte è una bella iniziativa, ma ci sono anche delle domande su come questo influisca sulla comunità. Speriamo che queste attività portino davvero beneficio e non siano solo un fatto estetico.

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