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Addio a Hulk Hogan: ho perso l’eroe della mia infanzia, e non sono pronto a dirgli addio

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Non so nemmeno da dove iniziare. Hulk Hogan è morto. L’ho letto, riletto. Ho guardato la foto. Il titolone. Ho sperato fosse una fake news, un’altra bufala come se ne vedono a decine. Ma questa volta era vera. Il cuore si è fermato per davvero. Il suo e un po’, anche il mio.

Perché per chi è cresciuto negli anni ’80 e ’90, Hulk Hogan non era solo un wrestler. Era un’idea, un modello, una certezza. Era quello che appariva in tv quando il mondo sembrava ancora semplice, diviso tra buoni e cattivi. E lui, ovviamente, stava sempre dalla parte giusta.

Quando credevi che bastasse strapparti la maglietta per sentirti invincibile

Io avevo sette anni quando ho visto Hogan la prima volta. Entrava con quella theme song epica, “Real American”. La bandana gialla. I baffi da camionista. Le braccia al cielo. Lo sguardo da gigante buono. Mio padre guardava il TG, io il wrestling. E per me, l’unico eroe era lui.

Mi strappavo le magliette come lui. Facevo le pose allo specchio. E quando qualcuno mi prendeva in giro a scuola, pensavo: “Cosa farebbe Hulk Hogan?”. Risposta: alzarsi, urlare e vincere.

Lo sapevi che si allenava sei giorni a settimana… anche a 60 anni suonati?

Una cosa che pochi sanno: anche negli ultimi anni, Hogan si allenava regolarmente. Nonostante le decine di operazioni — schiena, ginocchia, anche, collo — non ha mai smesso di entrare in palestra. Un giorno disse: “Se non posso sollevare pesi, è come se non fossi più me stesso”.

Quell’uomo, che a 60 anni aveva più muscoli di me a 20, si era fatto inserire una barra d’acciaio nella colonna vertebrale per poter ancora camminare. Letteralmente, si teneva in piedi con i bulloni. Ma continuava a firmare autografi. A sorridere. A stringere mani con le sue enormi dita da gorilla.

Tra gloria, cadute e redenzione

Certo, non è stato un santo. Gli scandali, il video rubato, le frasi razziste. Lì ho pensato: “No, non tu”. Ma forse era inevitabile. Quando un mito cade, fa rumore. Ma Hogan ha chiesto scusa. Si è ritirato per un po’. È tornato, a testa bassa ma con il cuore in mano. E la WWE l’ha perdonato. Anche io. Dopotutto, nessun eroe è perfetto. Ma pochi tornano a combattere dopo essere stati buttati giù per davvero.

Perché oggi piangiamo davvero Hulk Hogan

Perché non era solo un wrestler. Era un rifugio. Un’ispirazione. Un padre simbolico per chi non ne aveva uno. Era l’uomo che ci faceva credere che con abbastanza coraggio, muscoli (e magari una theme song potente), avresti potuto cambiare il finale della tua storia.

E ora che se n’è andato, mi chiedo una cosa: chi ci difenderà adesso?
Chi ci ricorderà che “dirti le preghiere, mangiare le tue vitamine e credere in te stesso” era più di uno slogan?

Un’ultima curiosità, fratello: sai da dove veniva quel “brother”?

Hogan lo diceva a tutti: “Whatcha gonna do, brother?”
Ma pochi sanno che quel “brother” veniva da una vera ossessione per la fratellanza. Nei backstage della WWE, chiamava tutti così. Sempre. Anche chi non lo sopportava. Era il suo modo per creare un’illusione di famiglia in un mondo spesso finto. Ed è anche così che ha fatto sentire noi. Fratelli. Parte di qualcosa. Della Hulkamania.

E ora? Ora ci resta solo un grazie

Grazie, Hulk.
Per le lotte. Le urla. Le risate.
Per essere stato il nostro eroe muscoloso, ridicolo, esagerato e assolutamente perfetto nel suo modo tutto americano di salvare il mondo…..

 

 

 

RIPRODUZIONE RISERVATA
Articolo pubblicato da Matteo Setaro il giorno 24 Luglio 2025 - 20:19

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Matteo Setaro

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