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ULTIMO AGGIORNAMENTO : 27 Giugno 2025 - 09:09
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Francesco Panarella si racconta Social World Film Festival 2025

Il giovane attore napoletano parla dell’arte come terapia personale e dell’impegno sociale
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Napoletano, classe ‘2001, l’attore e musicista Francesco Panarella è stato il primo ospite della quindicesima edizione del Social World Film Festival, kermesse cinematografica dedicata al cinema sociale presso gli spazi della città di Vico Equense.

Panarella, di concerto con il regista e direttore artistico di Giuseppe Alessio Nuzzo, ha raccontato la sua esperienza sul set del film Interference, per la regia di Nuzzo. Il progetto fa parte di un lavoro cross-mediale prodotto con la collaborazione della Rai: ci sarà un cortometraggio, un podcast, contenuti in realtà virtuale, e sarà disponibile su Rai Cinema Channel e RaiPlay.

È ambientato in un futuro dove, proprio a causa della dipendenza dai social, arriva l’idea estrema della chirurgia dell’identità. “Il mio personaggio è un ragazzo che convive con un grave disagio psichico: soffre di depressione profonda – ha spiegato – È un giovane che ha completamente smarrito il senso della vita, non riesce più a trovarne uno.

La sua esistenza è diventata piatta, spenta. Non si alza perché vuole, ma perché deve. Non si prende cura di sé, non esce più di casa. Il suo unico contatto con il mondo esterno sono i social – e anche lì, però, trova solo ostilità, insulti, umiliazioni.

All’inizio del film, il pubblico assiste a queste “live” che fa online, apparentemente per esprimersi, ma che in realtà diventano un altro terreno di dolore. Quella che doveva essere una valvola di sfogo si trasforma in una nuova forma di violenza, ancora più subdola. Questo personaggio arriva a un punto tale da desiderare una cosa estrema: cambiare personalità. Come oggi cambiamo il nostro volto con la chirurgia estetica, lui vorrebbe fare una vera e propria “chirurgia dell’identità”.

È un’idea potente, che il film esplora proiettandoci in un futuro molto vicino, in cui questa possibilità non sembra più così fantascientifica”. Un progetto audiovisivo che lascia all’attore napoletano di riflettere sulle problematiche che infliggono la contemporaneità, ragionando anche sull’approccio ai social network.

“E proprio da qui nasce il cuore del progetto: una riflessione profonda su quanto i social influenzino le nostre vite. Possono includere o escludere, farci sentire parte o completamente fuori.

Personalmente, credo che i social abbiano su di me un’influenza negativa. Cerco di usarli con consapevolezza, in modo “pulito”, ma cado spesso – come tutti – nella loro trappola. Mi è capitato molte volte di voler fare solo una pausa di dieci minuti, scrollare un po’ e poi… accorgermi che sono passate due ore.

Due ore in cui avrei potuto guardare un film, uscire, respirare. Invece ho solo assorbito contenuti – spesso negativi: insulti, violenza, superficialità. Ma anche i contenuti positivi generano un’altra distorsione: il paragone continuo con gli altri. Vediamo vite perfette e finiamo per sentirci sempre inadeguati. Questo meccanismo è devastante.

Il confronto con immagini costruite e idealizzate riduce la nostra autostima, ci fa sentire stanchi, vuoti. E paradossalmente stare ore sui social stanca davvero. I social, inoltre, ci stanno abbassando la soglia dell’attenzione. Ormai facciamo fatica a leggere una pagina intera di un libro senza distrarci. Fatichiamo a guardare un film tutto d’un fiato.

C’è chi guarda un film di tre ore in venti minuti al giorno, per un mese. E così, la narrazione, l’opera in sé, si perde completamente. Questo è un tema che mi tocca molto da vicino. Sto cercando di reagire: leggere di più, guardare film dall’inizio alla fine, suonare. In un certo senso, riprendermi il tempo, riprendermi la concentrazione.

Ed è proprio questo uno dei messaggi che volevo trasmettere con il mio lavoro: la consapevolezza del tempo, della mente, del nostro rapporto con la realtà”.

Dichiarazioni molto intense e generose che lasciano trapelare i pensieri ed i messaggi sociali più autentici di Francesco Panarella, il quale durante le masterclass con gli studenti ha ribadito l’importanza della cura del sé, della propria salute mentale, dell’accettazione delle proprie difficoltà e dell’importanza di reagire in modo reattivo per intervenire sui problemi e trovare gli strumenti giusti per affrontarli. “Quando si inizia a comprendere come migliorare la propria interiorità, il mondo esterno inizierà a sorridere e a fare arrivare ciò che per tanto si è agognato”.

Il rapporto con la recitazione

Francesco Panarella, durante la masterclass, ha rivelato com’è nato il suo amore per la recitazione, facendo riferimento ad uno dei suoi idoli. “Il momento in cui ho capito che volevo davvero fare questo mestiere è stato quando ho visto Johnny Depp andare negli ospedali, vestito da personaggio, per far sorridere i bambini.

Lì ho capito che anche compiere gesti comici dinanzi la videocamera può fare del bene. È lì che ho deciso di intraprendere davvero questa strada. Io ho scelto di usare quel poco di notorietà che ho per far sentire meno soli quelli che si sentono come mi sentivo io.

Da bambino sono stato bullizzato in tutte le forme possibili: per i capelli, per il fisico, per il modo di parlare. Crescere così lascia dei segni. E proprio per questo, sentire Johnny Depp raccontare con sincerità di essere una persona timida, fragile, introversa, mi ha fatto sentire meno solo.

Quando guardavo un suo film, per quelle due ore e mezza spariva tutto. Esistevano solo i suoi personaggi, le storie, quella magia. E ho pensato: se lui ha attraversato momenti difficili come i miei, e ce l’ha fatta, allora forse c’è speranza anche per me. Il mio sogno è riuscire a fare la stessa cosa per qualcun altro.

Anche solo per cinque, sei, dieci persone. Se riesco a far sentire meno solo qualcuno, allora per me è una vittoria enorme – ed ha proseguito nell’argomentazione – Oltre a questo, mi sono innamorato del mestiere dal primo giorno di set. La prima volta che ho fatto la comparsa – era in un film di Vincenzo Salemme – l’ho fatto per gioco, per curiosità.

Ma quando sono arrivato sul set è stato amore a prima vista: la confusione, le urla, le corse con l’acqua, il regista che richiama tutti… Sembrava un circo per folli! In quell’esatto momento ho appurato di voler fare parte di quel mondo”.

Motivazioni acute e cariche di sensibilità e di emotività che lasciano intendere quanta empatia occorra per vestire i panni di qualcun altro e, soprattutto, come la declinazione della propria vita verso una forma d’arte possa essere una rivincita ed un modo per risollevare chi ha vissuto le medesime situazioni di vita spiacevoli.

La recitazione, così impattante nel suo percorso di vita, gli ha lasciato delle lezioni preziose: “La lezione più importante che mi ha dato la recitazione, soprattutto in un momento buio come questo della mia vita, è la pazienza.

Io non sono mai stato una persona paziente ma questo lavoro ti costringe a esserlo: fai mille provini, passi mesi ad aspettare risposte che non arrivano, ti scontri con rifiuti, con silenzi. E devi imparare a fermarti, respirare, non prendere tutto sul personale.

La seconda lezione riguarda il rispetto, perché bisogna essere corretti con le persone di tutti i compartimenti del set. Siamo tutti essenziali, dal regista alla signora delle pulizie. Io li saluto tutti allo stesso modo, scambio chiacchiere con tutti, e credo che questo sia fondamentale per lavorare bene.

La terza lezione, forse più pratica ma non meno importante: nella vita si pagano le tasse. Sembra banale, ma a scuola nessuno ti insegna come si fa un finanziamento, come si compra qualcosa, come si gestisce il denaro. Io l’ho imparato grazie al lavoro: comprando una moto, pagando le tasse, scontrandomi con la realtà.

È una parte meno poetica del mestiere, ma è parte della vita adulta. E poi vi è la lezione rivelatoria e fondamentale: questo è un mestiere che può salvare delle vite. Può salvare chi lo fa – come è successo a me – e chi lo guarda.

Perché vedere se stessi riflessi in una storia, in un personaggio, può cambiare il modo in cui vivi il tuo dolore, può aiutarti a respirare quando ti senti soffocare. E se anche solo uno spettatore, una volta uscito da una sala o finito un episodio, si sente un po’ più forte, allora tutto questo ha senso”.

Il rapporto con la musica e con l’arte

Panarella, inoltre, è un estimatore di musica, avendo studiato al Conservatorio. Proprio per tale motivo, ha raccontato che ruolo gioca nella sua vita la musica, quali sono le sue preferenze e come collega tale passione a quella per il cinema e per la letteratura: “Musicalmente parlando, sono sicuramente fan degli Avenged Sevenfold, che sono il mio gruppo preferito in assoluto.

Il loro batterista, Jimmy Sullivan – che purtroppo non c’è più – è stata una delle mie più grandi ispirazioni. L’anno scorso ho anche avuto l’onore di conoscerli, ed è stata un’esperienza incredibile. Da bambino ero appassionato dei libri di Geronimo Stilton, poi sono passato al fantasy, e crescendo ancora sono approdato a gialli, thriller e horror.

Per quanto concerne i film, i film di Johnny Depp e di Tim Burton sono stati fondamentali per me. Però in realtà adoro ogni genere: per esempio i film d’azione mi appassionano molto. Sono andato a vedere l’ultimo Mission Impossible con Tom Cruise, e proprio ieri sono stato all’anteprima del film sulla Formula 1 con Brad Pitt. Bellissimo.

In generale, direi che l’arte è qualcosa che mi accompagna sempre”. Proprio in riferimento con quelli che sono i gusti da fruitore, si proietta verso desideri lavorativi per il futuro: “Mi piacerebbe tantissimo interpretare un personaggio fantasy, molto particolare, anche truccato in modo strano.

Il mio sogno nel cassetto è fare un film con Tim Burton. È qualcosa che desideravo ancora prima di pensare di fare l’attore. Crea dei mondi che per me sono stupendi, e l’idea di poterli abitare, anche solo per un po’, è meravigliosa. Ho anche visto la mostra dedicata ai suoi lavori, con disegni e riferimenti a personaggi creati con Johnny Depp. Mi ha emozionato”.

L’esperienza sul set di Mare Fuori

Francesco Panarella, nell’acclamata serie firmata Rai ,Mare Fuori, a partire dalla terza stagione ha prestato il volto al personaggio di Cucciolo, detenuto dell’IPM di Napoli. Ha raccontato i retroscena del set, come ha articolato il lavoro di costruzione del personaggio in sinergia con il regista: “Il personaggio ha avuto diverse fasi. All’inizio c’era una fase di scoperta, stavo imparando a conoscerlo.

Poi, andando avanti, come succede nella vita reale, anche il mio approccio si è evoluto ed il personaggio è mutato. Lavorare con Ludovico Di Martino è stato davvero speciale. Nella quinta stagione abbiamo creato una sintonia bellissima, quasi musicale. Ludovico è un regista “rock and roll”, mi ha dato grande libertà creativa, ma allo stesso tempo è stato un punto di riferimento saldo, una guida.

Questo approccio è, secondo me, fondamentale in un regista. Mi sono sentito libero, e per me è stato un lavoro liberatorio”. Si è avviato in chiusura ricordando i momenti più significativi, emozionanti e divertenti del set: “Di momenti divertenti ce ne sono tantissimi. Con Giuseppe Pirozzi ogni conversazione in camerino diventa un momento comico. Ma anche girare di notte, poi mangiare tutti insieme alle tre di mattina guardando il mare. Sono momenti magici, che porterò con me per sempre.

In generale, però, ogni stagione ha portato con sé momenti di carico emotivo crescente, perché il personaggio di Cucciolo si ritrova sempre più coinvolto in situazioni complesse e drammatiche – ed ha concluso – Questo ti porta inevitabilmente a confrontarti con tante emozioni forti. Ed è proprio questo che rende questo mestiere così bello”.

Emanuela Francini

RIPRODUZIONE RISERVATA
Articolo pubblicato il giorno 27 Giugno 2025 - 09:09

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