Napoli – Tre omicidi irrisolti, una unica regia criminale, vendette trasversali, confessioni e pentimenti. C’ è tutto questo nell’ordinanza cautelare firmata dal gip Fabrizio Finamore della Quinta sezione del tribunale di Napoli che ieri su richiesta della Dda ha portato in carcere sei camorristi di Ponticelli. Uno invece è riuscito a sfuggire alla cattura.
In carcere sono finiti Michele Minichini, detto “Tiger” 34enne, già detenuto per altri reati; Giulio Ceglie, 42 anni; Ciro Contini, detto o’ nirone 36 anni, nipote del boss Eduardo Cointin; Vincenza Maione, 44enne; Gabriella Onesto, 46; Mariarca Boccia di 38 anni È irreperibile invece il 32 enne Giuseppe Prisco. Gli arresti sono stati eseguite dagli agenti della Squadra Mobile di Napoli.
Sono accusati, di aver partecipato agli omicidi di Mario Volpicelli, Giovanni Sarno e Salvatore D’Orsi. Nell’inchiesta è indagata a piede libero la neo pentita Luisa De Stefano la
“pazzignana”, che ha reso dichiarazioni auto accusatorie
Uno spaccato della guerra di camorra di inizio anni Duemila tra Ponticelli e il rione Villa è quello che emerge dalla lettura delle 116 pagine dell’ordinanza cautelare. C’è anche da dire per gli omicidi di Mario Volpicelli e di Giovanni Sarno Giovanni, secondo le dichiarazioni
di alcuni collaboratori di giustizia è stata usata la stessa arma: un revolver.
“Mi voglio accusare in questa sede . . dell’omicidio di Gennaro Volpicelli avvenuto
lo stesso giorno in cui morì mio fratello Antonio”. Sono le dichiarazioni auto accusatorie rese nel giugno del 2023 da Michele Minichini “Tiger”. E per confermare questa testi ci sono le dichiarazioni del pentito Tommaso Schisa: “La mamma di Michele Minichini ha spinto Michele a commettere l’omicidio di Volpicelli in quanto diceva a Michele che stavano commettendo tanti omicidi per Rinaldi Ciro e doveva commettere anche un omicidio per loro, quale vendetta”.
Michele Minichini, Vincenza Maione e Giulio Ceglie, accusati dell’omicidio di Mario Volpicelli, avvenuto il 30 gennaio 2016 a Ponticelli. I tre, insieme a Luisa De Stefano e Antonio Rivieccio, avrebbero agito per vendicare l’uccisione di Antonio Minichini, fratello di Michele, assassinato da un killer del clan De Micco.
Secondo le indagini, Minichini e Maione, con De Stefano, pianificarono l’agguato. Minichini, accompagnato da De Stefano e Ceglie, individuò la vittima giorni prima in un negozio di via Bartolo Longo. Maione fornì a Minichini e Rivieccio una pistola calibro .357 Magnum, consegnata da Ceglie.
Il giorno dell’omicidio, Ceglie segnalò la posizione di Volpicelli, seguito in motorino, mentre Maione avvisò i sicari con uno squillo telefonico. Minichini e Rivieccio, su un Honda SH 300, raggiunsero Volpicelli in via Malaparte, dove Minichini esplose sette colpi, colpendolo mortalmente. Dopo il delitto, i due bruciarono guanti e scaldacollo e pulirono il motociclo.
I tre sono stati accusati di omicidio aggravato dal metodo mafioso, concorso in delitto e porto abusivo d’armi.
Sono sei invece gli accusati dell’omicidio di Giovanni sarno avvenuto nella notte tra il 5 e 6 marzo del 2016. Si tratta di Michele Minichini, Vincenza Maione, Ciro Contini, Gabriella Onesto, Mariarca Boccia e Giulio Ceglie ritenuti responsabili, insieme a Luisa De Stefano, dell’omicidio di Giovanni Sarno, ucciso a colpi d’arma da fuoco nel cuore del Rione De Gasperi, a Ponticelli.
Secondo l’accusa, il delitto – aggravato dal metodo mafioso – sarebbe maturato come vendetta trasversale: Giovanni Sarno era infatti fratello dei collaboratori di giustizia che, nel corso delle loro dichiarazioni, avevano indicato Roberto Schisa, marito della De Stefano, come autore dell’omicidio del fratello Giuseppe Schisa.
Gli inquirenti ricostruiscono così la dinamica del delitto: Michele Minichini, Giulio Ceglie e Ciro Contini sarebbero andati in auto all’abitazione della vittima, un “basso” in via De Meis 120. A quel punto, sarebbe stato Contini a fare irruzione nell’appartamento e a sparare due colpi – uno al fianco e uno alla testa – che hanno ucciso Giovanni Sarno sul colpo. Le armi utilizzate, secondo le perizie balistiche, erano compatibili con un calibro .357 Magnum/.38 o con un 9×21.
Determinante, secondo la ricostruzione degli inquirenti, anche il ruolo delle donne coinvolte. Mariarca Boccia, nei giorni precedenti al delitto, avrebbe fornito informazioni cruciali sul fatto che la porta dell’abitazione della vittima fosse solitamente aperta. Il giorno dell’omicidio, avrebbe poi segnalato ai killer il momento più favorevole per agire, assicurandosi che nei dintorni non ci fossero testimoni. Al momento dell’agguato, Boccia si trovava all’esterno dell’abitazione insieme a Vincenza Maione, in attesa che venissero esplosi i colpi mortali.
Per questo omicidio, avvenuto il 12 marzo 2018 a Ponticelli, sono accusati Michele Minichini e Giuseppe Prisco. I due, in concorso con Luisa De Stefano, avrebbero ucciso D’Orsi, ritenuto vicino al clan De Micco, sparandogli tre colpi d’arma da fuoco (uno alla nuca e due al torace) mentre si trovava all’ingresso del suo stabile.
Secondo le indagini, Minichini, insieme a De Stefano, pianificò l’omicidio per eliminare D’Orsi, che vendeva stupefacenti per il clan De Micco e lo aveva più volte seguito. Minichini e Prisco eseguirono l’agguato, colpendo la vittima a morte. I due sono accusati di omicidio aggravato dal metodo mafioso, concorso in delitto e porto abusivo d’armi.
(nella foto da sinistra in. alto: Michele Minichini, Ciro Contini, Luisa De Stefano e le tre vittime Mario Volpicelli, Giovanni Sarno e Salvatore D’Orsi: in basso Gabriella Onesto, Vincenza Maione, Mariarca Boccia, Giulio Ceglie e il latitante Giuseppe Prisco.
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