Cellulari nelle carceri. Come entrano i telefonini? prosegue l'inchiesta di Luca Abete
L’inchiesta intitolata **”Il Grande Cancello”** di @lucaabete continua a gettare luce su uno dei problemi più persistenti e difficili da gestire all’interno del sistema carcerario italiano: l’ingresso e la diffusione dei telefoni cellulari nelle carceri. Nonostante le rigide misure di sicurezza adottate, i telefonini riescono comunque a penetrare nelle strutture detentive attraverso diverse modalità, compromettendo l’ordine e la sicurezza all’interno delle carceri.
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Uno dei canali principali attraverso cui i telefonini entrano nelle carceri è rappresentato dalle visite dei familiari e dei visitatori. Nonostante i controlli rigorosi, alcuni detenuti riescono a nascondere i dispositivi sotto indumenti, all’interno di oggetti personali o sfruttando momenti di distrazione durante le ispezioni. La complicità, volontaria o involontaria, di alcuni familiari facilita ulteriormente il contrabbando.
Un altro aspetto critico evidenziato dall’inchiesta riguarda la possibile complicità di alcuni membri del personale carcerario. In alcuni casi, infatti, si sospetta che dipendenti corrotti possano facilitare l’introduzione di telefonini all’interno delle strutture, magari accettando tangenti o ignorando deliberatamente le procedure di controllo.
I telefonini spesso vengono smontati e nascosti all’interno di oggetti ammessi nelle carceri, come libri, riviste o prodotti alimentari. Una volta all’interno della cella, i dispositivi vengono riassemblati, rendendo difficile il rilevamento durante le perquisizioni periodiche.
Con l’evoluzione delle tecnologie, emergono nuovi metodi per il contrabbando dei telefonini. L’uso di droni per consegnare dispositivi all’interno delle carceri è una delle tecniche più insidiose identificate dall’inchiesta. Inoltre, sofisticati meccanismi di smontaggio consentono di eludere i dispositivi di rilevamento elettronico installati nelle strutture.
Il traffico interno tra i detenuti rappresenta un ulteriore canale di diffusione. Una volta che un telefono riesce a infiltrarsi in una cella, può essere facilmente passato di prigioniero in prigioniero, aumentando esponenzialmente il numero di dispositivi presenti all’interno della struttura.
La presenza di telefonini nelle carceri ha conseguenze gravi e multiple. Permette ai detenuti di mantenere contatti diretti con l’esterno in modo non tracciabile, facilitando organizzazioni criminali a coordinare attività illecite, intimidazioni e minacce. Inoltre, compromette i tentativi di risocializzazione, creando un ambiente di controllo difficile da gestire per le autorità carcerarie.
In risposta a questo fenomeno, le autorità hanno intensificato gli sforzi per implementare tecnologie di rilevamento più avanzate e aumentare la formazione del personale carcerario per identificare e prevenire il contrabbando. Tuttavia, l’inchiesta di @lucaabete sottolinea come sia necessario un approccio più integrato e multi-faceted, che coinvolga non solo le forze di sicurezza ma anche le famiglie dei detenuti e la società civile, per affrontare efficacemente il problema.
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