Cronaca

L’hacker Carmelo Miano e la vendetta dopo la perquisizione

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Carmelo Miano, un nome che fino a poco tempo fa era sconosciuto ai più, arrestato con l’accusa di aver penetrato illegalmente nei sistemi informatici del Ministero della Giustizia ha ammesso di aver violato le caselle di posta elettronica di magistrati impegnati in delicate indagini, tra cui anche quelle a lui stesso rivolte.

Lo ha fatto ieri nel corso dell’interrogatorio di garanzia che si è svolto nel carcere di Regina Colei, dove è detenuto dalla scorsa settimana e alla presenza del suo avvocato Gioacchino Cenchi.

Dietro l’apparente freddezza di un hacker, si cela una storia di fragilità e sofferenza. Miano ha infatti rivelato agli inquirenti di essere stato vittima di bullismo fin dalla tenera età, un’esperienza traumatica che lo ha segnato profondamente e ha contribuito a scatenare in lui un profondo senso di isolamento e di rabbia.

La spirale della vendetta

La passione per l’informatica, inizialmente coltivata come una sana curiosità, si è trasformata in uno strumento di vendetta. Dopo essere stato perquisito nel settembre del 2020, Miano ha iniziato a pianificare una serie di attacchi informatici sempre più sofisticati, volti a colpire coloro che, a suo avviso, lo avevano ingiustamente perseguitato.

Le prime incursioni, ha ammesso l’hacker, erano state quasi un gioco, un modo per sfogare la propria frustrazione. Col passare del tempo, però, le sue azioni sono diventate sempre più audaci e pericolose. Miano ha violato i sistemi di sicurezza del Ministero della Giustizia con una facilità disarmante, riuscendo ad accedere a una quantità enorme di dati sensibili.

Il mistero dei milioni di euro in criptovalute

Oltre all’accusa di hacking, Miano deve rispondere anche di un’altra grave accusa: quella di riciclaggio di denaro. Gli investigatori hanno infatti rinvenuto in suo possesso un ingente quantitativo di criptovalute, per un valore di diversi milioni di euro.

L’hacker ha cercato di giustificare questa ricchezza improvvisa sostenendo di aver investito in Bitcoin quando la criptovaluta era ancora poco conosciuta e che il suo valore era poi schizzato alle stelle. Tuttavia, questa spiegazione non ha convinto gli inquirenti, che sospettano che i soldi possano provenire da attività illecite.

Un altro elemento che ha destato l’attenzione degli investigatori è la presunta complicità di un agente di polizia. Miano avrebbe intrattenuto rapporti con questo agente, discutendo con lui di criptovalute e di altre attività illecite. Gli inquirenti stanno ora cercando di capire se l’agente abbia effettivamente collaborato con l’hacker o se si sia limitato a fornire una copertura per le sue attività.

 

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Articolo pubblicato il giorno 9 Ottobre 2024 - 09:45
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