Foto archivio
«I commercianti non posso continuare a pagare colpe di altri – esordisce Schiavo – così facendo molte attività sono destinate a chiudere. A Napoli e in altre città della Campania sono numerosissime le attività da ‘take away’, legate al solo asporto e senza struttura interna per ospitare i clienti. La limitazione posta alle 22 di vendita di bibite all’esterno di fatto obbliga molte attività, che campano solo con la vendita di prodotti in ore serali, a non aprire proprio. Il che significa zero introiti, zero economia, famiglie sul lastrico, dipendenti licenziati. Non potendo occupare con tavoli e sedie la strada o le piazze, visto che c’è da tutelare i residenti, c’è solo una soluzione, aumentare i controlli. Il commercio va aiutato non calpestato. In questo senso, inoltre, mi chiedo: perché limitare a 20 persone al massimo il numero di invitati ai matrimoni e alle cerimonie? Perché nei ristoranti con centinaia di coperti è possibile ospitare molti clienti e nei matrimoni, di norma ospitati in strutture ampie, questo non è possibile?».
Le nuove limitazioni tendono a scongiurare gli assembramenti: sul punto la posizione di Confesercenti Campania è netta: «I commercianti campani sono moribondi e in terapia intensiva da mesi. Aspettano una cura ma stanno perdendo la speranza. L’aumento dei contagi – dice Schiavo – non è una loro colpa. Gli assembramenti scellerati sono un problema culturale, non delle imprese. Ad essere colpiti ulteriormente da questi provvedimenti sarebbero le aziende più piccole e deboli. Esistono modi e mezzi per individuare e punire chi non rispetta le regole anti-covid. Usiamoli».
Il presidente Vincenzo Schiavo inoltre rilancia: «Confesercenti Campania, come di consueto, intende collaborare con la Regione e non opporsi ad essa. Istituiamo subito un tavolo permanente per trovare le soluzioni giuste: noi siamo i rappresentanti delle attività commerciali. Confesercenti, in questo senso, comprende i timori per il propagarsi dei contagi e per questo propone di integrare i controlli predisposti dalle forze dell’ordine locali con quelli della polizia privata di aziende accreditate. Se le persone si “assembrano”, ripeto, è un problema di cultura e non un effetto dell’attività delle imprese».
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